Tornando dalle vacanze, soprattutto quelle lunghe natalizie, c’è spesso un senso di amarezza più che di serenità che aleggia posandosi sui volti e sulle parole. Eppure, in situazione di normalità, abbiamo avuto più di un’occasione per riposare, per rilassarci, per vivere ore di festa e bei momenti familiari.
Ci si vede e ci si saluta a volte stanchi e affannati, non sembra proprio di aver passato giornate belle e piacevoli. Che fine hanno fatto gli auguri inviati e ricevuti pieni di gioia? Dove sono finiti gli auspici di rinnovamento e di tempi migliori rivoltisi reciprocamente? A chi sono stati lasciati i ricordi delle serate di festa, di condivisione, di fraternità, di allegria? Neanche i regali, soprattutto quelli desiderati e apprezzati, paiono farci star bene e ricordarci l’euforico countdown di fine anno, i baci, gli abbracci, i sorrisi. Ciò che ci dovrebbe riempire il cuore, al contrario ci svuota e al massimo ci resta la pancia piena; ciò che dovrebbe rilanciarci nelle attività giornaliere, ci trattiene e appesantisce; ciò che dovrebbe rinnovarci, ci invecchia e ci fa sentire pari al foglio strappato del calendario scaduto! Sarà colpa della crisi, del solito atteggiamento del “poteva andare meglio” oppure “sono stato malato per tutte le feste”, ma perché farsi rubare così il desiderio professato di un anno nuovo, migliore, diverso, intenso? Studiamo, leggiamo, approfondiamo, scriviamo, analizziamo, scrutiniamo, progettiamo, tuttavia rischiamo costantemente di non riuscire a conservare la gioia, i sogni, i buoni propositi, i bei ricordi, i doni. È come se le vacanze fossero una bolla di sapone oppure uno di quei sogni notturni infiniti, che svaniscono improvvisamente all’alba del ritorno a scuola in gennaio.
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