di Alessandro D’Avenia
In prima superiore ho chiesto di portare i libri letti durante l’estate. Sul banco di una studentessa c’era “Colpa delle stelle”, uno dei libri che ha infuocato le classifiche di libri e i cuori di molti ragazzi, anche grazie al film adesso nelle sale: una storia in cui due sedicenni per vivere il loro amore devono chiedere permesso alla morte. Dimmi cosa leggi e ti dirò chi sei: è la scorciatoia per iniziare a leggere la segnaletica dell’inedito che ogni ragazzo è e che, a 14 anni, non si manifesta scopertamente, ma attraverso scelte (musica, libri, film, serie tv…) che troppo spesso bolliamo come “adolescenziali”, come se da adolescenti si potesse essere altro che adolescenti o l’adolescenza fosse una colpa e non una tappa necessaria a far fiorire la vita. Ma perché per sentirsi raccontare l’amore i ragazzi scelgono di passare per il crogiolo del dolore? Vivono immersi in una cultura che nasconde il dolore e la morte (se non come spettacolo che è un modo di occultarli). Esaurite le grandi narrazioni religiose e politiche, si trovano privi di codici simbolici capaci di dar senso alla realtà limite. L’uomo è un essere narrativo e simbolico, interpretiamo e stiamo nella realtà attraverso le storie: qualunque azione umana cerchiamo di comprenderla alla luce di una narrazione (Chi è? Da dove viene? Dove va?). Alla Musa si chiedeva di raccontare dell’uomo multiforme, perché quell’uomo era narrativamente la sintesi di ciò che ad un uomo accade nella vita, persino di dare un’occhiata all’aldilà per farsi raccontare come finisce la storia nell’aldiqua. Per poter vivere la vita in anticipo l’uomo si è arrangiato con le storie: gli scrittori sanno che i loro personaggi sono io sperimentali per saggiare la realtà. La società di Omero aveva inventato un modo per superare la morte (il grande tema su cui ogni cultura è costretta a fondare se stessa): socializzarla attraverso la tomba e i racconti epici. La pietra e l’esametro epico (il verso dell’Iliade e dell’Odissea) garantiscono immortalità a un effimero che precipiterebbe nell’oblio, che è peggio della morte.
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