di Roberto Cotroneo
Il trapassato remoto è un tempo verbale che non usa più nessuno. Resta ai letterati, quelli molto colti, e suona anche un po’ strano. In molti mi guarderebbero con aria strana se dicessi: dopo che Giulia ebbe sceso le scale, uscì dal portone trafelata. Eppure questo è un italiano colto e corretto. Da anni sento i lamenti sulla perdita del congiuntivo. Ma non sento mai note dolenti sulla fine del trapassato remoto. Sostituito da tempi verbali al passato che all’incirca rendono l’idea, senza troppe complicazioni.
Ma in realtà il trapassato remoto è un modo di pensare la storia, ed è un modo di capire il tempo. Non è la stessa cosa dire: ebbi cantato piuttosto che cantai. Perché tra i due tempi c’è una linea di separazione. Un qualcosa di avvenuto e di concluso, una sistemazione del disordine della vita. Usare il trapassato remoto è un modo per archiviare davvero, ma non è un modo per dimenticare.
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