di Maria Teresa Pontara Pederiva
“A domani!”, “A presto”, “Arrivederci “. Quante volte all’espressione che pronunciamo scontata non ha fatto seguito l’incontro? Non per motivi più o meno banali, più o meno gravi – dipende dalle situazioni – ma per quella causa di forza maggiore, irrevocabilmente definitiva, che è la morte.
E se in una piccola città accade nell’arco di una settimana di ritrovarsi in buon numero a partecipare ai funerali di due amici, morti improvvisamente entrambi d’infarto, rispettivamente a 59 e 52 anni, le riflessioni, magari scambiate in pausa o alla fermata dell’autobus, sono segno di “qualcosa che ha scavato dentro”, come ripete uno di loro.
“Lui” solo conosce la fede di ciascuno, ma certo per alcuni la partecipazione alla messa domenicale e alla vita della comunità ecclesiale ha intensità molto diverse. Anzi si può dire che talvolta è stata proprio la presenza impotente di fronte all’agonia prolungata di genitori anziani ad affievolire la fiamma della fede.
A riattivare la brace sono state forse le parole di un ex studente (i due morti erano un giornalista e un docente di filosofia) intervenuto al funerale del suo prof. A fare breccia più di altre – certo più di quelle dell’omelia di un parroco oberato di scadenze … – “la tua morte ci ricorda che dovremmo pensare un po’ di più a come presentarci di là, anche se non sappiamo quando saremo chiamati per l’interrogazione decisiva”. Un tema caro alla sensibilità di un movimento ecclesiale, ha pensato chi partecipa da anni anche alle liturgie con l’occhio (e l’impegno) del cronista, ma non c’era da prendere appunti in quell’occasione, solo l’ultimo “saluto” a un amico e collega.
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