di Gianni Riotta per http://www.lastampa.it
Quando la pesca del merluzzo crollò nell’Atlantico del Nord, 30 anni fa, l’industria alimentare del Canada, in crisi, cercò le cause del fenomeno: perché il pesce scompariva? La risposta dei biologi fu «Cacciate le foche che
divorando il pesce». Per tutto il decennio successivo, malgrado una ferocissima strage di foche, il numero di merluzzi continuò a declinare. Gli scienziati allora non seguirono solo il nesso Merluzzi-Foche, ma ricostruirono la catena marina del cibo. Risultò che le foche divorano 150 specie diverse, tra cui anche molti predatori di merluzzi. Massacrarle lasciava dilagare questi animali, moltiplicando la moria dei poveri merluzzi.
«Rete» è termine che viene dalla pesca, la stringa di corda legata dai nodi, l’acqua che defluisce, il pesce raccolto in barca: e l’errore dei canadesi era proprio di «rete», stavolta nel senso di «network». Guardando solo al legame vorace tra foche e merluzzi avevano dimenticato che la catena alimentare non è una linea, ma un reticolo, dove decine di predatori interagiscono. Giudicare per elementi e non per rete, guardare al nesso tra due fenomeni senza studiare l’interazione del sistema è errore capitale nel mondo di oggi, dove la teoria delle reti, «network theory», è strumento affascinante di analisi e predizione. Per rintracciare i complici di un attentato terrorista attraverso i loro contatti da cellulari e computer, per prevedere i casi di contagio durante un’epidemia, per esempio l’Aids, per capire come le banche assegnino – o neghino – il credito durante una crisi economica, per comprendere perché d’improvviso tante fanciulle scappino da un tranquillo collegio, «la teoria delle reti» è cruciale. Servizi segreti, scienziati, informatici, giornalisti, politici la usano e influenzano la nostra vita quotidiana: eppure pochi di noi sanno esattamente cosa sia e quali regole e algoritmi la governino
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