Non va meglio nella Valle del Sacco, il fiume in provincia di Frosinone dove per anni le aziende ciociare hanno scaricato le acque sporche delle loro lavorazioni. Quelle stesse acque dove gli allevatori della zona, ignari, portavano il loro bestiame ad abbeverarsi. Se la bonifica non è mai partita, in compenso gli inquinanti sono entrati nella catena alimentare. I risultati? Patologie cardiovascolari e respiratorie, tumori della pleura e asma bronchiale nettamente sopra la media per via dell’esposizione ai prodotti chimici e all’amianto. In prospettiva si prevede un’impennata di particolari forme tumorali e del morbo di Parkinson. E gli abitanti che non si ammalano diventano comunque portatori sani dell’insetticida beta-esaclorocicloesano, come riscontrato per 246 residenti sottoposti ad accertamenti nell’ambito di un apposito monitoraggio. Usato per la produzione di Lindano nelle industrie chimiche della zona, questo pesticida (vietato dal 2001) mantiene intatti i sui potenziali effetti tossi su sangue, fegato e reni anche a distanza di anni.
Nella Valle del Sacco solo per il ripristino e la messa in sicurezza servirebbero oltre 660 milioni. Costi elevatissimi, che spiegano perché intorno alle bonifiche, come per la gestione dei rifiuti, ci sia un business milionario fatto di consulenze, studi, gestioni commissariali decretate sull’onda dell’emergenza e progettazioni che spesso finiscono puntualmente nel nulla. E dove i controllati di frequente sono anche controllori, pure quando sono soggetti pubblici.
Così Paolo Fantauzzi su L’Espresso descrive la nostra situazione
Qui il post completo http://espresso.repubblica.it/dettaglio/veleni-ecco-le-altre-ilva-ditalia/2196543
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