Sempre grazie a Claudio Martino per la sua traduzione dal Nyt
In una sua corrispondenza, Dean Baker esprime un’interessante opinione riguardo al misterioso collasso di produttività in Italia – cioè, che una gran parte di tale collasso potrebbe essere un’illusione statistica. Questo è
qualcosa che si dovrebbe sempre prendere in considerazione quando si vede qualcosa di strano nei dati economici.
Questa è la storia (la teoria, ndt): l’Italia, con la sua combinazione di regole numerose e di applicazione debole (insomma, di grida manzoniane, ndt), usava avere tanto “lavoro nero” – lavoratori che non erano nei libri-paga, per evadere vari requisiti imposti dal governo. Ma in quel periodo arrivarono delle riforme che consentirono di tenere i lavoratori part-time sui libri-paga spendendo di meno (da parte dei datori di lavoro, ndt) – ed il lavoro sommerso venne alla luce. Il PIL misurato non ne fu influenzato, perché gli statistici stavano già facendo dei calcoli tenendo conto dell’economia sommersa, così il risultato fu un declino nella produttività misurata (la traduzione è contorta, da dilettante, ma credo che il senso sia questo: se la produttività si calcola dividendo l’intero prodotto per numero di lavoratori, essendo aumentato il numero dei lavoratori “ufficiali”, cioè non al nero, il risultato della divisione del prodotto complessivo – in effetti non diminuito – per numero dei lavoratori è diminuito, creando l’illusione ottica di una diminuzione della produttività, ndt).
Sconterei la misura del valore unitario; è sempre stata una misura povera, e probabilmente in special modo quando hai a che fare con un paese che cerca di esportare merce di alta qualità. Ma c’’è ancora un’ampia divergenza tra la misura dell’unità di costo del lavoro, che suggerisce un’ampia sopravvalutazione, e altre misure – il che è esattamente quanto ti aspetteresti se tu avessi un produttività sottostimata.
I dati sulla bilancia dei pagamenti sono anche abbastanza coerenti con questa teoria: l’Italia non ha mai avuto enormi disavanzi delle partite correnti, come nel caso della Spagna.
Io non voglio affermare che in Italia va tutto bene; chiaramente, il paese ha mercati non funzionali, tante rendite da monopolio, ed è in ritardo nell’uso della tecnologia informativa. Ma probabilmente non è il caso disperato che alcuni numeri suggeriscono. E sì, ti chiedi perché il programma di austerità debba essere così duro come in effetti è.
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