di Diego Andreatta
Servono operatori disponibili a mettersi in gioco come cristiani non Aziende cattoliche di promozione delle specialità artistiche locali…
Dovrebbe essere il gusto genuino dell’accoglienza a caratterizzare le tante iniziative che s’inventano ogni estate
sui litorali o all’ombra delle cime: nonostante l’aspetto svagato, il villeggiante cerca (e ricorda) i volti di una famiglia ospitale, i momenti di una chiacchierata distesa o di un silenzio condiviso davanti ad un panorama mozzafiato.
Altrimenti anche la Pastorale del Turismo – pur con le necessità di efficiente coordinamento che evita dispendio di energie – finisce per burocratizzarsi in un “fare per fare”, riciclato di anno in anno in base a valutazioni che considerano più la quantità dei contatti e degli eventi che la qualità della relazione. Dipende quasi tutto dagli “operatori” – ne siamo convinti – disponibili a mettersi in gioco come cristiani prima ancora che ospitanti, per evitare che la parrocchia a vocazione turistica sia riconosciuta solo come una sorta di Azienda cattolica di promozione delle specialità artistiche locali.
Diciamoci prima chi sono i destinatari della stessa Pastorale turistica: più dei fedelissimi che fin dal primo giorno s’informano sugli orari delle celebrazioni, dovrebbero essere quanti sono portati dall’inerzia estiva ad allentare la loro già incerta partecipazione ecclesiale: con la chiusura delle scuole ripongono in cartella fino a settembre anche le domande dello spirito.
Dalle variegate sperimentazioni che affiorano ogni anno dal panorama ecclesiale italiano, spicca l’efficacia di alcuni ambienti congeniali, non tanto per la loro struttura quanto per le presenze umane che la abitano (e che dovrebbero essere) soprattutto laicali: quando si finirà per identificare una parrocchia accogliente solo con lo stile più o meno gradito del suo parroco?
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