Uomini e donne che si assumano la responsabilità del servizio agli altri


Questa città ha bisogno di uomini e donne che si assumano la responsabilità del servizio agli altri, a partire dagli ultimi e dai poveri, che non cedano alla tentazione di perseguire il proprio interesse, di considerare ogni occasione come motivo di litigio e di polemica, che si cimentino nel costruire e difendere il bene comune dei suoi cittadini. Rivolgo queste parole innanzitutto a noi uomini di Chiesa, sacerdoti e laici, perché il Vangelo parla innanzitutto a noi, non esenti dallo spirito individualista ed egoista del mondo; e poi a voi tutti nelle rispettive responsabilità civili, militari e politiche.

Sono le parole del vescovo Spreafico alla città di Frosinone, riunita in cattedrale per la festa dei santi Patroni Silverio ed Ormisda, con in prima fila i rappresentanti delle istituzioni civili.

Ecco il testo completo dell’omelia

Santi Patroni Silverio e Ormisda – 20 giugno 2012 – 1 Pt 5,1-4; Gv 21,15-19

Cari fratelli e care sorelle,
siamo davvero lieti di ritrovarci insieme per la festa dei patroni di questa nostra città soprattutto nell’anno in cui celebriamo i venticinque anni dall’unificazione della Diocesi, quando questa chiesa di Santa Maria Assunta è divenuta cattedrale, centro della vita liturgica, simbolo di unità non solo dei cristiani di questa città, ma della Diocesi intera. Ancora numerosi sono i particolarismi e le divisioni che caratterizzano la vita quotidiana, anche quella ecclesiale, ma confidiamo in Dio che per mezzo della preghiera e della celebrazione dei divini misteri il corpo mistico di Cristo, di cui indegnamente siamo parte, divenga sempre più anche la realtà di ogni giorno. Il mondo ha bisogno di donne e uomini che sappiano mostrare che è possibile vivere insieme, rispettarsi, aiutarsi, amarsi. Dobbiamo contrastare l’individualismo esasperato, che vorrebbe quasi rendere impossibile ai nostri occhi vivere gli uni accanto agli altri come fratelli e sorelle, parte dell’unica famiglia umana. I patroni di questa città, i Santi Pontefici Ormisda e Silverio, seppur in modi diversi, ci confortano con la loro testimonianza e ci indicano la via per essere parte viva e partecipe del corpo di Cristo, la Chiesa, nostra madre e maestra. 
   Innanzitutto essi sono Papi, pastori della Chiesa universale. Ricevettero dal Signore il compito di guidare la Chiesa in tempi difficili. Ormisda fu papa dal 514 al 523. Silverio per breve tempo, dal   536 al 537. Il primo fu paziente e convinto artefice della ritrovata unità tra la Chiesa di Occidente e quella di Oriente, dopo più di trent’anni di divisione a causa di uno scisma. Il suo epistolario ci mostra la continua sollecitudine per la Chiesa universale e lo sforzo per ricostituirne l’unità, insieme alla saggezza del suo ministero. Silverio dovette subire le lotte tra diverse fazioni contrapposte e, costretto all’esilio, morì nell’isola di Palmarola. Tempi difficili quelli della Chiesa del loro tempo. Possiamo dire tuttavia che per la Chiesa i tempi non sono mai facili, soprattutto quando anche al suo interno si incontrano dissidi e divisioni, che ne indeboliscono la forza del messaggio evangelico. Ne dobbiamo essere consapevoli, non per giudicare o condannare gli altri, ma per diventare sempre più uomini e donne di Dio, forti non di noi stessi, ma dell’amore che viene dal Signore.san-ormisda-papa

   Fu questa la domanda finale che il Signore rivolse a Pietro sulle rive del lago di Galilea, là dove lo aveva incontrato la prima volta, quasi a sancire la necessità di un nuovo inizio dopo la morte e resurrezione. “Mi ami tu più di costoro?”, gli chiede Gesù. Forse anche noi non esiteremmo a rispondere con immediatezza come l’apostolo: “Certo, Signore, tu lo sai che ti amo”. E’ toccante questa risposta così spontanea di Pietro, che la terza volta si infastidisce dell’insistenza di Gesù: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo”. Cari fratelli, la risposta di Pietro implica una assunzione di responsabilità. Non si può dire al Signore: “ti amo”, e poi continuare a vivere come prima con il prossimo. E’ questo che Gesù vuole ricordare all’apostolo nella sua triplice risposta: “pasci i miei agnelli”. In questa risposta si nasconde tutta la vita della Chiesa, la sua missione nel mondo e in ogni tempo, secondo la quale ciascuno è chiamato a vivere l’amore di Dio nell’amore per il prossimo, manifestando questo amore in una preoccupazione costante e concreta per gli altri. Infatti, “chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede”, direbbe l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera (4,20). Certo, il Signore con queste parole affida a Pietro una missione universale, propria del suo ministero. Ma in essa tutti ci ritroviamo seppur in maniera diversa, ciascuno secondo i suoi doni e le sue responsabilità. L’amore riguarda infatti la vita che conduciamo, penetra nei nostri compiti sociali e civili, si innesta nei rapporti che coltiviamo. Per il pastore vivere è stare con il gregge, occuparsi del gregge, non abbandonarlo neppure nel pericolo. Per questo il dialogo tra Gesù e Pietro, l’ultimo del Vangelo di Giovanni, ci riguarda personalmente proprio nella festa dei nostri patroni, che hanno vissuto per il popolo loro affidato con fedeltà anche nella sofferenza. Non basta essere convinti di amare il Signore. Bisogna interrogarsi su quanto questo amore diventa la nostra vita e il nostro impegno. Lo affermiamo oggi nella Cattedrale della Diocesi e in questa città, consapevoli del tempo difficile che stiamo attraversando. 

   Le parole di Gesù sono rivolte a ciascuno di noi nelle diverse responsabilità che ci sono affidate. Questa città ha bisogno di uomini e donne che si assumano la responsabilità del servizio agli altri, a partire dagli ultimi e dai poveri, che non cedano alla tentazione di perseguire il proprio interesse, di considerare ogni occasione come motivo di litigio e di polemica, che si cimentino nel costruire e difendere il bene comune dei suoi cittadini. Rivolgo queste parole innanzitutto a noi uomini di Chiesa, sacerdoti e laici, perché il Vangelo parla innanzitutto a noi, non esenti dallo spirito individualista ed egoista del mondo; e poi a voi tutti nelle rispettive responsabilità civili, militari e politiche. So, a partire da lei, signor sindaco, che siete animati da uno spirito cristiano. Sappiate che la Chiesa è al fianco di tutti coloro che si spendono per il bene del prossimo, e che oggi sono chiamati a cercare risposte concrete che diano speranza e costruiscano unità in un mondo talvolta rissoso e chiassoso. I nostri santi patroni ci vengono a esortare ad occuparci seriamente degli altri, ad amare, parola forse abusata ma tanto poco praticata. Abbiamo ascoltato nella Prima Lettera di Pietro: “Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge”. Sono parole chiare, che non hanno bisogno di commento. Potrebbero sembrarci dure, in realtà sono affidate a noi con quell’amore appassionato di Dio per ciascuno e per il mondo intero. Siano esse una bussola per la nostra vita e le nostre responsabilità. Cari fratelli, che il Signore aiuti tutti, sostenga i deboli e i poveri, protegga questa nostra città dal male, dalla violenza e dallo spirito di divisione, ci aiuti ad amarci l’un l’altro, perché amandoci possiamo costruire un mondo più umano e migliore e possiamo dare speranza a chi vive nella difficoltà. Che i Santi Patroni Ormisda e Silverio custodiscano tutti noi nell’amore di Dio. Affidiamo alla loro intercessione il ministero di pastore della Chiesa universale del Santo Padre Benedetto XVI, perché continui a guidarci con il suo sapiente magistero e la sua mitezza ci possa essere di esempio. Preghiamo anche per il parroco di questa Cattedrale, don Giovanni, perché guarisca e torni presto tra noi. 

Amen
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