I vescovi e il governo Monti


di Luigi Accattoli

Dalla fine del collateralismo Chiesa-Dc – che possiamo far risalire al 1963: «Pacem in Terris» e primo governo Moro – mai nessun esecutivo aveva goduto di tanto appoggio da parte del nostro Episcopato come il governo Monti. Quell’appoggio, manifestato a chiare lettere fin dalla costituzione del Gabinetto a metà novembre, è stato confermato e rafforzato dalla prolusione all’Assemblea della Cei tenuta lunedì pomeriggio dal cardinale Bagnasco. Un rafforzamento che si è espresso con il forte monito rivolto ai partiti tentati – sei mesi dopo la formazione del governo – di “volersi ritrarre”dal sostenerlo: «Nessuno si illuda che il Paese tolleri facilmente di ritornare alla condizione “quo ante”. Si deve piuttosto scommettere sull’intelligenza dei cittadini, ormai disincantati e stanchi». Il cardinale, che già una volta, in gennaio, aveva qualificato il governo Monti come «esecutivo di buona volontà», è entrato nel vivo di questioni brucianti, dai suicidi degli imprenditori alle responsabilità di «chi doveva vigilare e non lo fece a sufficienza », svolgendo nell’insieme un deciso appello alle forze politiche perché resistano alla tentazione di porre fine alla faticosa impresa del risanamento dei conti e del rilancio della nostra economia. Con la prolusione Bagnasco ha dato concretezza propositiva al monito del Papa – formulato domenica 13 ad Arezzo – «perché l’Italia reagisca alla tentazione dello scoraggiamento ». L’elemento di più viva novità – rispetto ai pronunciamenti precedenti dello stesso Bagnasco – va cercato, come dicevo, nella diretta diffida rivolta ai politici che ogni giorno di più sembrano ostacolare il governo che pure sostengono: «Stupisce l’incertezza deipartiti che, dopo una fase di intelligente comprensione delle difficoltà in cui versava il Paese, ma anche delle loro dirette responsabilità, paiono a momenti volersi come ritrarre».

Sviluppando questo ricamo a due facce dell’incoraggiamento al governo e del monito ai politici, il cardinale ha toccato quasi tutti gli aspetti della nostra crisi economica e di sistema ma si è fermato soprattutto su quelli per i quali la Chiesa dispone di qualche strumento conoscitivo proprio e di una sperimentata possibilità di influenza. Il disagio sociale, per esempio, che vuol dire sia disoccupazione, sia suicidi degli imprenditori e degli inseguiti dal fisco. «Urgono iniziative che portino crescita e assorbano disagio sociale: c’è bisogno di lavoro, lavoro, lavoro» ha detto Bagnasco, segnalando su questo fronte una prima possibilità di intervento della Chiesa: «Vanno appurate con diligenza le cause concrete di questi fenomeni, e vanno approntati “sportelli amici” a cui possa rivolgersi con fiducia chi è disperato ».

«Com’è noto – ha esemplificato – su questo fronte la Chiesa italiana e le varie Diocesi da tempo sono mobilitate in modo operativo e concreto per creare – più fitta e resistente – una rete di protezione della vita di tutti e di ciascuno». Per Bagnasco, come sempre nel caso di suicidi seriali, anche nell’Italia di oggi provata dalla crisi «è difficile sottrarsi alla percezione che vi possa essere un involontario, perverso effetto emulativo » nei confronti del quale è urgente esercitare una funzione di dissuasione comunitaria e interpersonale. Secondo il cardinale questo è un altro settore nel quale i cattolici possono svolgere un ruolo importante: «Nel rispetto assoluto di ogni situazione, noi abbiamo il dovere di ricordare che nulla vale il sacrificio della vita: essa è sacra, nessuno ne può disporre a piacere e neppure a dispiacere». Più ingenerale si tratta di svolgere nei confronti dell’intera popolazione italiana un’opera pedagogica di stimolo alla fiducia e all’impegno: «Al cittadino nostro fratello che si sta misurando con una crisi assai più ampia di ogni previsione, vorremmo saper dire parole non scontate di incoraggiamento e di speranza, inquadrando i rischi nei quali stiamo incorrendo, ma anche i segnali positivi e le potenzialità che realisticamente sono alla nostra portata». Su una questione l’attitudine conciliante del cardinale si fa combattiva, se non polemica, quando evidenzia l’illusione di un «avanzamento continuo e illimitato » nella quale ci siamo cullati a lungo e «quando qualcuno segnalava un rischio o l’incongruenza di certi atteggiamenti – ha ricordato con una punta di rivincita personale – veniva facilmente tacciato didisfattismo: finchè non è arrivato il momento della verità » È inevitabile leggere in controluce un riferimento all’inossidabile ottimismo berlusconiano, ma il cardinale segnala anche, in altra parte della prolusione, il sogno «illusoriamente progressista» di un «processo comunitario » europeo che avrebbe risolto tutti i nostri problemi ed ecco che per una «serie di stagioni ci siamo sforzati di credere che, come altre volte, la ripresa fosse a portata di mano, che tutto sarebbe stato in qualche modo superato». Come già aveva fatto il 23 gennaio – ad apertura della sessione invernale del Consiglio Permanente della Cei – anche lunedì il cardinale ha fatto suo il logo centrale dell’esecutivo tecnico, che è «salvare l’Italia», in particolare quando ha lodato «l’iniziativa governativa di messa in salvo del Paese, in grado di scongiurare il peggio». La vicinanza linguistica è stata ancora maggiore in un altro passaggio nel quale Bagnasco ha affermato la necessità che «la politica si rigeneri nelsegno della sobrietà e della capacità di visione». Basterà ricordare un qualsiasi appello montiano per avvertire la consonanza tra il linguaggio del premier e quello del Presidente dei vescovi, che del resto hanno la stessa età e non mancano di assonanze formative: la cultura umanistica che si insegnava nel liceo del Leone XIII di Milano e in quello del Seminario arcivescovile di Genova circa il 1960 non doveva essere granchè diversa. Ma le ragioni di convergenza sono molto più consistenti di quanto non rivelino le affinità linguistiche. Alla base c’è innanzitutto una comune avvertenza della gravità della crisi: «Ancora non c’èovunque la percezione di quanto grave sia la situazione attuale», ha detto il cardinale e il Premier lo dice continuamente. Comune è anche la chiamata dei politici all’autocritica chein bocca al cardinale in quest’ultima occasione è suonata così: «Riconoscendo che ieri qualcosa di importante ci era sfuggito o era stato sottovalutato ». L’appoggio del presidente della Cei all’esecutivo tecnico è favorito dalla sua non appartenenza a uno degli schieramenti che si contendono la scena ma anche dal fatto che l’episcopato guarda con grande favore a questa stagione di “pausa” che spera favorisca una qualche decongestione della rissosità politica e della contrapposizione ideologica che hanno caratterizzato gli ultimi due decenni della nostra politica e che gli uomini di Chiesa hanno percepito come fumo negli occhi. Come già osservavo sopra, in Benedetto troviamo lo stesso atteggiamento di favore nei confronti del governo Monti mostrato dal cardinale Bagnasco.

Monti e il Papa si sono incontrati cinque volte in sei mesi: il 19 novembre (a Fiumicino partendo il Papa per il Benin), il 14 gennaio (Monti in visita in Vaticano), il 24 marzo (a Fiumicino partendo il Papa per il Messico e per Cuba), il 18 aprile (Monti in visita per il compleanno e l’anniversario dell’elezione del Papa), il 13 maggio (ad Arezzo). Ma più che dalla frequenza, la sintonia va cercata nel tono e nelle parole degli incontri, bene riassunti dalle parole con cui Benedetto avviò la conversazione – a microfoni dei media ancora aperti – il 14 gennaio: «Lei ha cominciato bene, però in una situazione difficile, quasi insolubile». La Chiesa ha un vivo interesse a sostenere Monti in questa situazione «quasi insolubile». Abbiamo visto le ragioni di quell’interesse, alle quali va aggiunta la necessità di una soluzione negoziata della questione Ici-Imu, che non è ancora completa. Ma che può fare, in concreto, la Chiesa per Monti? Sommando insieme i gesti e i moniti papali ed episcopali possiamo individuare almeno tre assist alla strategia di salvataggio dei nostri conti e dell’intera nostra barca approntata dal governo tecnico: favorire la reciproca fiducia tra i tre o quattro o cinque poli del nostro sistema politico dilacerato, aiutare a mantenere la pace sociale di fronte alle nuove emergenze economiche e conflittuali, accompagnare la sollecitazione italiana per la creazione di una governance planetaria dell’economia. I più rilevanti tra questi apporti sono i primi due, miranti – per usare le parole del Papa negli auguri in lingua italiana formulati il Natale scorso – ad aiutare «gli abitanti dell’intero Paese a crescere nella reciproca fiducia per costruire insieme un futuro di speranza, più fraterno e solidale». La reciproca fiducia tra gli italiani è la carta fondamentale per la tenuta di questo governo. http://www.luigiaccattoli.it


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