“Che progetti hai?” chiese lui.
“Sopravvivere” rispose lei.
“Beata te”
La crisi tarlava tutto.
I dialoghi tradivano un certo compiaciuto e finalmente lecito vittimismo, ma anche il cappuccino aveva la schiuma meno soffice, il dentifricio pizzicava troppo come negli anni ’80 e la luce del sole era ridotta ad uno strato lattiginoso sopra muri e tetti screpolati da altri soli un tempo ben più consapevoli. Lui la baciò. I baci erano rimasti gli stessi. Neppure la crisi era capace di cambiarli.
***
“Perché tra me e te metti sempre i tuoi baci?” chiese lei.
“Che vuoi dire?” rispose lui.
“Ci scontriamo sempre sulle nostre labbra.”
“Scontriamo?”
“L’anima a me si concentra sulle labbra quando ti bacio e da lì vorrebbe saltare dentro la tua. Ma non la raggiungo mai.”
“Ci vai vicina?”
“Sembra ogni volta che questa cosa sia ad un passo da noi, ma poi…”
Lo baciò di nuovo. Di nuovo alla ricerca. Di nuovo.
***
Adorare: dal lat. ad + os-oris (bocca): portare la bocca a.
Tra i popoli antichi chi incontrava qualcuno ne afferrava un lembo della veste con la mano sinistra e baciava la propria destra, indirizzando poi quel bacio all’interessato. Come facciamo noi alle partenze dei treni dietro vetri impossibili da perforare.
Per questo lei gli baciava sempre gli occhi. Sugli occhi soggiornava l’anima di lui. Sapeva che era l’unico modo di adorargli l’anima: baciarla. E li baciò ancora, quando lui li chiuse per l’ultima volta. E il bacio rimase sospeso, momentaneamente sospeso.
Alessandro D’Avenia
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