Non si sa bene quanti siano: qualcuno dice 30 mila, altri un quantitativo minore, ma sono lì nella pancia di Palazzo Antonelli, nelle sue cantine. Sono il frutto degli scavi che la Sovrintendenza fece nella villa romana di Cardegna, al confine tra Ceccano e Castro, lungo la via Gaeta, quando la superveloce decise di mettere un pilone in una zona dal nome tradizionale di Le Cocce… Sono la parte più consistente del patrimonio archeologico di Ceccano, ora conservata, speriamo, nelle cassette dove gli studiosi li hanno classificati. Ma, accanto alla grande villa imperiale alla Cardegna, Ceccano vanta diversi altri insediamenti abitativi sui colli occidentali, due santuari religiosi, il patrimonio lapidario presente a S. Maria a fiume e nella sala del Mosaico a Palazzo Antonelli oltre ad aree che meriterebbero campagne di scavo. In gran parte questi beni sono completamente sconosciuti se non addirittura sepolti sotto diverse decine di centimetri di terra, per non parlare dei mosaici pavimentali conservati a Palazzo Massimo a Roma e all’erma bifronte nei Musei Vaticani. In tanti anni, quasi 30, sembra impossibile che non sia stato trovato un luogo per realizzare un museo che racconti la storia della città, che vanta origini preromane. Eppure tutti i comuni del circondario si sono dotati del loro museo, magari trovando una specificità ed entrando nel circuito museale del Lazio, di cui Ceccano, pur essendo la V cittadina della provincia, non fa parte. Realizzare un museo richiede competenze specifiche, risorse finanziarie e progettazione pluriennale. Ma se non si comincia non si farà mai. Speriamo la nuova amministrazione voglia cambiare rotta anche su questo.

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