
Cominciò ad interessarsi seriamente di storia, o meglio di storiografia come sarebbe più corretto scrivere, al Liceo di Ceccano, grazie all’incontro con i testimoni della Shoah a Cracovia e ad Auschwitz e poi all’amicizia con Marika Venezia, moglie di Shlomo, un deportato membro del sonderkommando del lager polacco. Ha dedicato le sue tesi di laurea agli ebrei di san Donato Val di Comino e al Campo de Le Fraschette di Alatri. Ora Matteo Limongi, già intervenuto più volte negli eventi organizzati dalla Proloco e dalla Rete di Associazioni di Ceccano è vincitore, con borsa di studio, del Dottorato di ricerca in Storia e Scienze filosofico-sociali – curriculum storico – presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. Gli abbiamo chiesto di spiegarci cosa fa un ricercatore storico. Oggetto del progetto di ricerca – ci ha detto – sono i Centri raccolta profughi stranieri istituiti in Italia nel secondo dopoguerra dal Ministero dell’Interno allo scopo di internare i cosiddetti stranieri «indesiderabili», cioè coloro i quali si erano compromessi con i passati regimi, erano pregiudicati, perché privi di documenti o perché entrati clandestinamente nel paese e che quindi non potevano essere assistiti dalla Organizzazione Internazionale Rifugiati – conosciuta come IRO – delle Nazioni Unite. Tali centri furono installati, fin dal 1946, presso le strutture di ex campi di concentramento fascisti e in particolare presso quello di Fossoli di Carpi, di Alberobello, di Lipari, di Ustica, di Farfa Sabina e di Fraschette di Alatri. Se il Centro raccolta profughi stranieri di Lipari e quello di Alberobello ebbero vita relativamente breve, i centri di Fraschette, Farfa e Ustica continuarono la loro attività fino ai primissimi anni Sessanta. Scopo della ricerca e della conseguente tesi di dottorato sarà proprio quello di ricostruire nel dettaglio le vicende che hanno interessato individualmente questi Centri, iniziando dalle istanze che hanno portato alla loro istituzione per procedere poi all’analisi della loro gestione da parte del Ministero dell’Interno tramite l’operato delle diverse prefetture locali in rapporto anche alle diverse organizzazioni internazionali, sino al momento della loro chiusura. Altro obiettivo della ricerca è anche quello di ricostruire la vita quotidiana che era svolta dai profughi presenti in essi, considerando gli aspetti peculiari della convivenza tra numerose persone di nazionalità, lingue, religioni e culture diverse nonché le condizioni igienico-sanitarie e alimentari. Oggetto di studio sarà inoltre la possibile relazione esistente tra i Centri raccolta profughi stranieri e le ratline, cioè quel sistema di vie di fuga con cui, alla fine della Seconda guerra mondiale, criminali di guerra nazisti e collaborazionisti fuggirono, in prevalenza verso l’America Latina, per evitare i processi a loro carico in Europa.
Complimenti Matteo, ad majora!
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