di Marta Bonafoni, giornalista e consigliere regionale del Lazio
Me lo aspettavo ed è andata così. È stato un pomeriggio intenso e importante quello passato in compagnia di Marco Omizzolo, Emanuela Piroli e Diego Protani, nella sorprendente cornice di Sinestesia Caffè Letterario Biblioteca Libreria a Ceccano. Perché presentare un libro non è mai un’esperienza ad una sola dimensione, se poi quel libro è scritto a quattro mani da Marco e da un ex schiavo di nome Balbir Singh l’effetto non può che essere dirompente. Come ho detto ieri di fronte a una folla numerosa e attenta, “Il mio nome è Balbir” è innanzitutto un libro sulle distanze. La roulotte co-protagonista inconsapevole di questa storia era infatti a 70 km da Roma, 20 da Latina, a poche centinaia di metri dalla Pontina e a 10 metri esatti dalla casa del padrone. Ma soprattutto era una roulotte tanto, troppo, lontana dalle nostre coscienze. Ieri abbiamo contribuito a ridurre innanzitutto quella distanza. Ciò che avviene nelle campagne del nostro territorio – dove un uomo per sei anni può essere costretto a lavorare 18 ore al giorno, tutti i giorni, per una paga di 50 euro al mese e solo il cibo dei maiali a disposizione – ci riguarda.

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