di Alessandro Ciotoli, per la serie dei non-luoghi


Il Baseball è uno sport piuttosto antico, la prima società al mondo venne fondata negli Stati Uniti nel 1839, i New York City’s Knickerbockers club, il cui fondatore Alexander Cartwright si prese anche la briga di scriverne le regole. La sua diffusione nel mondo deve molto ai soldati americani in giro per il mondo durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, inclusa l’Italia, con la vicina Nettuno la cui squadra ha vinto ben 17 scudetti.
A Ceccano arrivò negli anni settanta grazie a Giuseppe Bonanni, Pinetto, e a un folto gruppo di giovani che divennero le colonne portanti sia della squadra maschile che di quella femminile, arrivando a giocare nelle più alte categorie nazionali e alcune volte le coppe europee.
In nessuno sport, tantomeno l’amatissimo (anche da me) calcio, Ceccano è mai stata più in alto che nel Baseball. La prima partita che ho visto coi miei occhi era verso la fine degli anni ottanta, non esisteva un campo vero e proprio, ma era stato adattato un prato nell’area del Santa Maria della Pietà, dove più tardi venne costruita la palazzina della Rems. Fu una sensazione strana ma bellissima.
Negli anni novanta si avviarono poi le pratiche per costruire un diamante degno del suo nome, nell’area del polo sportivo in costruzione di Passo del Cardinale, vicino al Palasport. Seguii l’inaugurazione per Ciociaria Oggi, e mi ricordo qualche giorno più tardi, sulla panchina storia di piazza Municipio, quella vicina all’arco di San Giovanni, una discussione tra Pinetto Bonanni e Giovannino Montoni. Il primo gli rimproverava di avere inaugurato il campo senza un’intitolazione, il secondo, candidamente, gli rispose “Pinetto, stiamo aspettando che muori tu, perché lo vogliamo intitolare a te”, e risero entrambi. La promessa venne mantenuta, ovviamente.
Gli ultimi sprazzi di attività dei Ceccano Tigers risalgono a più di 15 anni fa. La squadra era valida, il mister Frankie Russo sembrava una leggenda americana, venivano a Ceccano squadre dalla Sardegna, dalla Toscana, dall’Umbria, era una bella cosa. Pasqualino Ardovini, alla fine di una partita, mi disse “Nessuno ci investe veramente, eppure una squadra di baseball di serie A costerebbe quanto una squadra di calcio di seconda categoria”.
Finita la squadra, nessuno ha più creduto nelle potenzialità di un campo che è tra i pochi del Lazio, dove ce ne saranno, se si escludono Roma e Nettuno, meno di 10. Oggi è nel degrado più totale. Viene usato, e ogni volta massacrato, per eventi con grande partecipazione di pubblico, e questo, per carità, non è necessariamente negativo, se non fosse che nemmeno sembra più un campo di baseball.
La deriva delle strutture sportive parte dal Palasport, sì, ma non può ignorare questo unicum che abbiamo solo noi, anche se nessuno se ne interessa. Un investimento vero, in accordo con la federazione, potrebbe ridare un senso a una struttura, partendo dai settori giovanili, dai piccoli, facendoli diventare grandi amando uno sport leggendario, che si giocherebbe solo qui e ci renderebbe unici.
Anche questo è sviluppo, è uno sviluppo alternativo, meno efficace sul breve magari, ma forse è proprio questo il problema, se per far crescere una cosa devi andare oltre il mandato, non ne vale la pena. E invece sì.
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Ed io, carissimo Pietro, ricordo una … leggendaria partita tra il Ceccano Baseball e la squadra del BancoRoma.
Ma non al Santa Maria, bensì nell’allora sterratissimo Popolla, più o meno alla metà degli anni ’70.
Sport, il baseball, di cui non ho mai capito granchè ma che comunque ha dato non poco lustro a questo sfigatissimo paese.
😦