Compassione e misericordia, prendersi cura degli altri, la Quaresima secondo Ambrogio


Secondo il vangelo, il giudizio finale sarà una domanda sull’amore verso i poveri: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”. La compassione e l’amore per i poveri comunque cambiano la vita, l’aria che respiriamo, i rapporti, rendono il mondo più umano e più in comunione. Non è anche questo un aspetto fondamentale di una convivenza civile e democratica? Sono alcune delle parole che il vescovo Ambrogio Spreafico ha rivolto alle sue comunità nella meditazione per il periodo di Quaresima, domenica 25 febbraio a Tecchiena, evidenziando come il comportamento richiesto dall’insegnamento evangelico abbia un grande valore civile. Partendo dall’azione compassionevole del samaritano che si cura del ferito abbandonato dai briganti, Spreafico dice:  le nostre comunità dovrebbero chiedersi chi è quell’uomo per le nostre comunità. Certo, c’è tanta povera gente, tante famiglie in difficoltà, ci sono gli immigrati, gli anziani soli o nelle RSA. Non dovremmo tuttavia anche pensare ai ragazzi e ai giovani, spesso inascoltati, prigionieri dei social, facilmente disorientati e a volte depressi, in famiglie che sono pronti a difenderli quanto poco ad aiutarli? Ma noi li ascoltiamo? Cosa significa per loro far parte della famiglia che noi dovremmo essere?  Il vescovo ha posto alcune domande: Come riannodare il tessuto lacerato e rammentato delle nostre città? Come ritessere la tela dei rapporti nell’individualismo e nella solitudine crescente? Con quali basi si può proporre un modello sociale che dia una risposta vera e necessaria a un bisogno riconosciuto da tutti? Il Vangelo offre delle risorse spirituali straordinarie perché germogli e cresca un vissuto di comunione e di fraternità che capovolga la freddezza e l’indifferenza delle nostre società. La Chiesa è chiamata a essere a testimone della comunione, come lo è stata sin dall’inizio, in un mondo globalizzato e spaesato dove le risorse economiche applicate ai servizi sociali aiutano a risolvere solo una parte del problema. Gesù non considera che lui e i suoi discepoli debbano isolarsi dal mondo che li circonda. Non pensa per loro un percorso vitale guidato dal “miglioramento personale”, neppure dal punto di vista religioso. Non li invita a fare lunghissime meditazioni pensando a se stessi e alla loro purificazione interiore. Li invita a riconoscersi peccatori, cioè, a sapere che spesso si allontanano dal bene e dal vero, e propone loro di aprire il cuore alla misericordia, alla compassione dinanzi colui che è abbattuto oppure è stato calpestato, colui che ha perso la gioia o si chiude sterilmente in sè stesso. Per Gesù, i discepoli devono imparare a vivere un tessuto di comunione, devono comunicare la gioia del Vangelo.

Potete trovare il testo completo del vescovo qui

qui il filmato dell’incontro


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