di Simone Esposito
Vedo appelli (di gente sincera, non dico gli sgranatori di rosari in favore di telecamera, di quelli chissenefrega) a consentire la partecipazione alla messa di Pasqua e ai riti della Settimana Santa: 5 o 10 o 50 alla volta, scaglionati e distanziati. Li capisco, perché la loro domanda nasce dallo stesso dolore che sto sentendo io, e che sentono tanti cristiani. Ma no: non li condivido. Piuttosto vorrei fare altri due appelli. Il primo ai sacerdoti, perché coinvolgano meno gente possibile nelle celebrazioni a porte chiuse, lo stretto indispensabile. Il secondo ai pochissimi laici che potranno celebrare in chiesa: rinunciate voi stessi alla comunione. Non solo per motivi igienici, ma per testimoniare che questo digiuno forzato è di tutta la comunità, e che l’Eucarestia, come ha scritto un amico, resta un dono, non un privilegio. Diceva Giovanni Crisostomo: “Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra, cioè nei poveri”. Oggi i più poveri sono i fragili, i malati, chi rischia la vita per debellare la pandemia. Vogliamo tornare presto intorno all’altare: ma tutti, non pochi. Nel frattempo, nel desiderio autentico che proviamo la grazia della presenza di Cristo c’è già: il Signore ce la farà bastare.

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