di Luigi Alici

L’Assunta, buon Ferragosto.
C’è qualcosa di incredibile nel ritorno selvaggio di neopaganesimo che arriva a nutrirsi persino della figura di Maria, alterandone il profilo più puro con una manipolazione prepotente e grossolana. Maria venerata con una litania di attributi scintillanti, in un incrocio di fede e devozione che attraversa i secoli, è diventata anche il brand impagabile di innumerevoli feste patronali, dietro le quali si consuma una liturgia torbida di rivalità, invidie e sperpero di denaro, di cui la malavita organizzata da troppo tempo rivendica il copyright. Come se tutto ciò non bastasse, oggi la verginità di Maria è abusata anche dalla politica: sporcata, deturpata, strumentalizzata e trasformata in un facile vessillo identitario, dietro al quale pullula l’opportunismo della pancia e la volgarità dell’esclusione.
Tutto ciò sta avvenendo non soltanto tra l’indifferenza dei credenti, ma addirittura (in molti casi) con la loro complicità, più o meno dichiarata. Indifferenza e complicità vengono da lontano e risalgono a due atteggiamenti davvero poco evangelici: l’uno ha ridotto Maria a un simbolo devozionale vuoto e disincarnato, in cui pazienza e rassegnazione si confondono, alimentando una religiosità semplificata e superstiziosa, tutta giocata su un’idea di preghiera strumentale e abitudinaria; l’altro usa il valore simbolico del culto mariano come un potentissimo collante etnico, che agita lo spauracchio della profanazione e dell’aggressione in nome di una contrapposizione criminogena tra crociati e infedeli.
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