di Alessandro D’Avenia
Più di duecento occhi di bambini puntati su di me aspettavano che rivelassi loro come si scrive una storia, quaderno e penna impugnati come armi. Dovevo tenere una lezione alle quinte elementari della scuola dove insegno, in occasione del concorso di narrativa che coinvolge tutte le classi, dalle elementari alle superiori. Come innescare il desiderio di scrivere un racconto sulle «radici», tema di quest’anno? Ogni scrittura comincia dalla meraviglia, per provocare la quale serve fare quelli che chiamo «esercizi di rispetto». Rispetto viene dal latino re-spicere: guardare più volte (avere ri-guardo), con attenzione; il contrario è dispetto, da de-spicere, guardare dall’alto in basso, disprezzare. Lo sguardo non è mai neutro: o «rispetta» o «dispetta». Nel primo caso genera «in-contro», la vita personale viene arricchita da ciò che accoglie, lo sguardo diventa l’interruttore che accende le cose che così si e ci illuminano. Nel secondo caso c’è solo «scontro», urto fugace di vite: sia le cose sia noi rimaniamo al buio, indifferenti. Ho invitato i bambini al silenzio, condizione del rispetto (niente può «venire alla luce» senza avere prima un grembo), per ri-cordare (mettere nel cuore) tutte le radici che conoscevano, e poi descriverle con precisione, perché, come scrive Dostoevskij: «La realtà ha una profondità tale che non si trova neanche in Shakespeare, basterebbe avere gli occhi e la forza di penetrare fino in fondo l’avvenimento». Occhi e profondità: sguardo e coraggio di andare «fino in fondo».
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