Si è spento qualche giorno fa il prof. Luigi Luca Cavalli Sforza, grande genetista genovese scomparso a 96 anni. Nel 2005, pubblicò un articolo sulla teoria delle razze, assolutamente illuminante
Alcune settimane fa sul New York Times è comparso un articolo di Armand Marie Leroi che riporta a galla il problema delle razze. L’autore si definisce un «evoluzionista biologo dello sviluppo» dell’Imperial College di Londra, cioè appartiene a una nuova setta che sembra un sottogruppo di un’altra più nota, detta di “psicologi evoluzionisti” che ha raccolto l’eredità della sociobiologia. Era questa una disciplina sorta come un fungo nel 1975, con il libro omonimo di Edward O.Wilson, un notissimo ecologo e studioso degli insetti sociali (soprattutto api e formiche) che aveva trasferito un po’ troppo violentemente alla specie umana le sue conoscenze entomologiche sulla socialità. Che vi siano geni che possono influenzare il comportamento sociale anche negli uomini non c’è dubbio, ma che la società umana abbia molte somiglianze con quella delle formiche è un po’ ingenuo. La sociobiologia ha ignorato il potere dell’evoluzione culturale, e dopo un breve successo ha perso rapidamente in popolarità, continuando in modo meno violento sotto altri nomi.
L’origine del concetto di razza
Il concetto di razza ha due origini diverse. La prima: a partire dal ‘700, zoologi e botanici si sono occupati di classificare tutte le specie di animali e piante, che oggi sono molti milioni. Una specie, così come quella umana, è l’insieme di individui che possono proliferare fra loro senza limitazioni, che invece rendono impossibili, o limitano grandemente gli incroci fra individui di specie diverse.
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