
Alla fine siamo sempre lì e oggi più che mai, per capire i prossimi mesi della tv italiana, bisogna partire da tre domande semplici e secche. Primo: si può fare una televisione per costruire e non solo per distruggere? Secondo: si possono informare i telespettatori uscendo fuori dalla gabbia dell’anti casta? Terzo: esiste un’alternativa concreta e magari persino di successo all’insostenibile palinsesto dello sfascio?
Come capita spesso ogni volta che le feste cancellano per qualche tempo il segnale dell’indignazione nazionale trasmesso ogni sera a reti unificate sui principali canali italiani attraverso il veicolo dei talk-show, all’improvviso una buona parte dell’opinione pubblica del nostro paese si è resa conto che l’Italia non percepita che vive fuori dal tubo catodico è terribilmente distante da quella rancorosa, depressa, indignata, incazzata che ogni giorno tende ad arrivare nelle nostre case attraverso il palinsesto che ci viene offerto dall’industria televisiva del malumore. E ogni volta che quel palinsesto si interrompe viene naturale farsi delle domande. Esistono delle alternative a quel palinsesto? E perché la scaletta del malumore scommette più sulla rappresentazione dell’Italia percepita che sulla rappresentazione di quella reale?
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