Intervista ad Alessandro D’Avenia, a cura di Maria Sorbi
Alessandro D’Avenia assomiglia al Piccolo Principe e ha l’energia dell’Attimo fuggente. Ma soprattutto ha un dono: sa parlare ai sedicenni. Sì, quei sedicenni indecifrabili che non sorridono nemmeno nei selfie e sembrano buoni solo a chattare.
Invece no: il prof-scrittore li incontra a teatro, in libreria. Li stuzzica su idoli un po’ più edificanti di Justin Biber e delle miriadi di youtuber. Leopardi e Omero in testa.
Come fa? Dice la verità. Cruda, senza sconti. Ma poi non li molla lì, da soli. Li aiuta a non avere vergogna della loro fragilità e a cercare in quel caos interiore tipico dell’adolescenza (e non solo) il loro talento, piccolo o grande che sia. Ecco perché è entrato nel cuore di tanti ragazzi e di tanti genitori.
Libri, teatro. D’Avenia, mica è uno di quei prof che non si presenta mai a scuola?
«Non sarei credibile. Ho fatto un solo giorno di assenza. Ho un contratto part time per riuscire a fare tutto».
In classe fa leggere per intero l’Odissea. Insolito, perfino al liceo classico.
«L’antologizzazione ha distrutto il gusto della letteratura perché i ragazzi non fanno più esperienza dell’opera ma del programma. Tutto ciò che si fa a brani (parola veramente impietosa) sta in macelleria».
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