di Roberto Beretta
Secondo me il modello «intervista» si presta assai allo stile di Papa Francesco; e non solo perché mi capita di citarne un’altra dopo quella di un precedente post (stavolta si tratta delle domande rivolte a Bergoglio da alcuni confratelli gesuiti e trascritte sia da «Civiltà cattolica» sia dall’«Osservatore romano» del 25 novembre scorso).
Si vede che il parlare a braccio, o conversare con il cuore, costituiscono un efficace strumento di “magistero liquido” (l’ho messo tra virgolette a bella posta) con cui questo Pontefice riesce a rendere la sua visione «movimentista» della Chiesa – e del cristianesimo in genere. Anche in questo dialogo, per esempio, il passaggio sul discernimento in morale (contrapposto alla casuistica) è rivelativo del metodo Bergoglio: mettersi sempre in gioco davanti alla realtà della vita, non arroccarsi nelle certezze astratte di una dottrina.
Preferisco però proporre alcuni brani che parlano con estrema durezza del clericalismo, perché in fondo rivelano la stessa convinzione: la sicurezza del denaro, la superbia, ogni genere di possesso (anche quello della «verità»?) sono sclerotismi che soffocano lo Spirito, «sterilizzano la Chiesa», uccidono la grazia.
«Il clericalismo, che è uno dei mali più seri nella Chiesa, si discosta dalla povertà. Il clericalismo è ricco. E se non è ricco di denaro, lo è di superbia. Ma è ricco: c’è un attaccamento al possesso. Non si lascia generare dalla madre povertà, non si lascia custodire dal muro povertà. Il clericalismo è una delle forme di ricchezza più gravi di cui al giorno d’oggi si soffre nella Chiesa. Almeno, in alcuni luoghi della Chiesa. Perfino nelle esperienze più quotidiane».
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