di Giuseppe Savagnone
L’accanita discussione di questi giorni sul ddl Cirinnà, in Parlamento e fuori, ha lasciato aperti i problemi su cui si sono scontrati maggioranza e opposizione, ma ha soprattutto evidenziato la grande difficoltà che abbiamo, nel nostro Paese, a fare un dibattito degno di questo nome. Giustamente da parte di alcuni – di entrambe le parti – si è fatto notare che la posta in gioco avrebbe meritato maggiore serietà di quella dimostrata dai protagonisti del confronto. Anche se, a dire il vero, la discordia comincia già nell’individuare quale sia questa posta: per i sostenitori del ddl il riconoscimento dei diritti di cittadini, per gli oppositori la salvaguardia o meno della identità dell’istituto matrimoniale.
Ma, per quanto inquietante, questa difficoltà radicale di comunicazione non è stato il fatto più allarmante. Più grave è stata la percezione, avvertita da molti, che il problema oggettivo sia diventato ostaggio di strategie o addirittura di tattiche partitiche, che l’hanno trasformato da questione etico-politica in strumento di propaganda pre-elettorale. Gli scontri che si sono verificati non solo e non tanto fra i partiti, ma al loro stesso interno, sono sembrati spesso dominati, più che da un reale interesse a far prevalere ciò che è giusto e conforme al bene comune, dall’intento di mettere in difficoltà gli avversari e di vincere, alla fine, un braccio di ferro.
” … ma puntare sui nastrini arcobaleno esibiti dai cantanti durante le loro esibizioni mi è sembrato un modo un po’ rozzo di fare pubblicità a uno dei due punti di vista …”
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Non entro nel merito, però ricordo che il pezzo presentato sempre a Sanremo pochi anni fa da un altro canterino (Povia), suscitò forrti polemiche e risentite reazioni da parte delle associazioni LGBT e dell’Arcigay di Franco Grillini.