Contro la paura e l’orrore? L’ironia

di  Elena Dini

All’inizio di questo 2016, reduci da una quantità di trasmissioni televisive su terrorismo, ISIS, dove andremo a finire, come prevenire e così via, alcuni hanno scelto di battere i sentieri dello humour. Questo trend ha accompagnato la presenza di giovani musulmani soprattutto di lingua inglese sui social già negli ultimi mesi del 2015.

Il potere degli hashtag e la loro capacità di rendere virali messaggi creativi e che hanno un certo appeal sul pubblico, è ben noto oramai. Ricorderete il caso dell’#YouAintNoMuslimBruv in seguito all’aggressione nella metropolitana di Londra da parte di un 29enne che affermava di agire per la Siria. Aveva tentato di tagliare la gola ad un uomo, ferendo anche altri due passanti. Nel video girato da testimoni, si sente una voce dirgli: “You ain’t no Muslim, bruv” e nel giro di poche ore dopo, l’hashtag è diventato virale: “non sei un musulmano, fratello”.

Sempre più abili nell’usare twitter, instagram e facebook per far passare la propria protesta di fronte, da una parte, a quanto viene fatto in nome dell’Islam e, dall’altra, a chi vuole far di tutta l’erba un fascio accusando tout court l’intera comunità islamica, i giovani musulmani scelgono anche di “buttarla a ridere”.

Ed ecco quindi negli States la reazione al discorso di Donald Trump, magnate statunitense e politico in corsa per le elezioni presidenziali, con atteggiamenti polemici e provocanti contro le locali comunità musulmane. Verso fine novembre, Trump ha affermato di aver visto migliaia di persone (sottinteso musulmane), mentre le Torri Gemelle stavano crollando, festeggiare e celebrare l’evento. Visto che non era ben chiaro dove e come avesse visto questa gente congratularsi per l’avvenuto, l’hashtag che ne è nato è stato #IsawTrump (ho visto Trump) seguito da tutta una serie di situazioni improbabili per le quali si adduce la presenza di un video non meglio identificato, tipo “#IsawTrump tirare fuori il suo tappetino, dire Allah Akbar e cominciare la sua preghiera. C’è un video da qualche parte, credetemi” oppure “#IsawTrump predicare l’amore, la convivenza, l’armonia, la compassione e la tolleranza. C’è un video. Sembrerebbe. Da qualche parte. L’ho visto”.

Più o meno negli stessi giorni, in Gran Bretagna è stata la volta del sondaggio pubblicato dal quotidiano The Sun la cui prima pagina del 24 novembre era quasi interamente occupata dall’enorme titolo bianco su sfondo nero “1 musulmano britannico su 5 simpatizza per i jihadisti” corredato dall’immagine di un uomo incappucciato con un coltello in mano. Tralasciando le questioni sull’affidabilità del sondaggio e la mancanza di correttezza nel titolo riguardo ai risultati, i giovani musulmani britannici hanno fatto partire l’hashtag #1in5Muslims (un musulmano su cinque) per ironizzare su questa presunta radicalizzazione dell’Islam britannico. Una foto di un gattino coperto da un velo è accompagnato dal tweet “#1in5Muslims forza il proprio gatto ad indossare abiti islamici modesti” e in un altro si legge “#1in5Muslims è un fan diGames of Thrones” e così via.

E non poteva mancare la reazione all’appello di fine anno dell’ISIS attribuito ad al-Baghdadi che chiamava alle armi i musulmani del mondo intero. “Mi dispiace. Ho la tesi del Master da difendere la prossima settimana” o anche “Papà mi ha detto che devo essere a casa per le 8. Avremo finito per quell’ora?”

Per dissociarsi e mostrare la propria volontà di opporsi forse non sempre c’è bisogno di tanti discorsi…a volte un tweet basta. E se riesce anche a far fare quattro risate, può dare un volto fresco, creativo e positivamente combattivo di una generazione di giovani musulmani che vivono in Occidente.