Avvento, il bisogno di vedere l’atteso


di Giancarlo Olcuire

Nell’Etimasia della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma il tentativo di mostrare colui che certamente verrà, e in gloria.

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«Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo»

Ecco un’opera che unisce l’ultima domenica dell’anno liturgico (dedicata a Cristo re dell’universo) alla prima domenica del nuovo anno. Il suo nome, che in greco significa semplicemente “preparazione”, non dice – ma lo dice la figura – che si tratta della preparazione di un trono: per un re – o, meglio, per il re dei re – che verrà a instaurare il suo regno.

È singolare come i cristiani, chiamati a non fissare «lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili» (2Cor 4,18), non ce la facciano a non immaginarle. E diano figura al re attraverso le sue insegne. Anzitutto il trono, sempre gemmato e sormontato da un cuscino (talvolta con un altro, più piccolo, per i piedi), su cui si posa l’agnello o la croce (o entrambi).

Per lo più gemmata, la croce può essere accompagnata dai simboli della Passione: la lancia, la canna con la spugna imbevuta di aceto, i chiodi, la corona di spine, il sudario… Sui cuscini possono pure trovare posto la corona e il mantello regali, il rotolo della Legge, il libro coi sette sigilli dell’Apocalisse e la colomba dello Spirito santo. Accanto al trono, a fare da ala, sono due angeli. Oppure, come nell’arco trionfale di S. Maria Maggiore, due santi (Pietro e Paolo) e i quattro evangelisti. O dodici agnelli, che stanno per i dodici apostoli… Molte varianti, dunque, in un grande simbolo inventato per dare corpo all’invisibile, nel quale confluiscono vari simboli.

Tipiche dell’arte bizantina e presenti in molte altre chiese romane, le etimasie più note sono rintracciabili a Ravenna, Venezia, Torcello, Grottaferrata, Palermo e Monreale. Poi in Croazia (da dove proviene quella forse più antica, assieme a questa di S. Maria Maggiore), in Romania e in Turchia. Quasi tutte con un denominatore comune: la fantasmagoria di luci e di colori, a dire lo splendore di colui che verrà certamente, e in gloria, non come il Godot di Beckett che si aspetta e non arriva.

Dove c’è un banchetto eucaristico, quest’immagine equivale al posto vuoto a tavola, lasciato per l’invitato più atteso. E infatti, nelle nostre celebrazioni, oltre a far memoria del Cristo che si è offerto in sacrificio, siamo sempre proiettati sul Cristo che tornerà.

In ultimo, uno sguardo alla cornice, dove, ancor oggi, si mette ciò che si ha di bello e di prezioso. Per dargli luce, per fargli spazio. Questa di S. Maria Maggiore è persino semplice, come cornice, rispetto alle ghirlande di fiori e frutti che si vedono in altre chiese: dice però quanto sia centrale, per noi cristiani, l’Atteso. E quanto la festa del suo ritorno sia da onorare nei preparativi.


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