La “Buona scuola” è legge di stato. Almeno sulla carta, ci sono tutte le premesse per un salto di qualità. I punti salienti sono l’inversione di tendenza sulla spesa, dopo la stagione dei tagli, il rafforzamento delle prerogative dei dirigenti e una maggiore possibilità di progettazione.
I principi della riforma
Il disegno di legge n.1934 (più noto come “Buona scuola”) appena approvato definitivamente dalla Camera in forma di unico articolo, in apertura enuncia i principi ispiratori, tutti pienamente condivisibili: “innalzare i livelli di istruzione e le competenze delle studentesse e degli studenti, […] per contrastare le diseguaglianze socio-culturali e territoriali, per prevenire e recuperare l’abbandono e la dispersione scolastica, […] per realizzare una scuola aperta, quale laboratorio permanente di ricerca, sperimentazione e innovazione didattica, di partecipazione e di educazione alla cittadinanza attiva […]”.
Il modello organizzativo a cui si ispira la riforma è quello della attuazione della autonomia scolastica, che significa capacità di adattare l’offerta formativa al contesto locale alla luce delle costanti trasformazioni della realtà esterna. Non stupisce quindi che una più ampia autonomia richieda una maggiore e migliore capacità di direzione da parte dei dirigenti scolastici, il cui ruolo viene rafforzato.
I cambiamenti più importanti introdotti dalla legge sono almeno tre: inversione di tendenza nella spesa pubblica in istruzione, rafforzamento delle prerogative manageriali dei dirigenti scolastici, miglioramento delle possibilità di progettazione.
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