Non è accaduto nell’Africa tribale, nel Messico dei narcos, nei deserti dell’Isis: Srebenica è l’atroce segnale che può accadere anche qui, nelle civile Europa dei diritti. E’ accaduto l’11 luglio del 1995
Dedicato a chi non sa
di Piero Del Giudice
«Da lei [Srebrenica] fugge tutto/anche ciò che da nessuna parte/ se non sotto la terra nera/ può fuggire./ Ci dicono/ da venti anni ce lo dicono/ che nel nostro Paese/ Bosnia Erzegovina/ la guerra è finita/ e che nessuno/ deve più/ guardare al passato/. Non vedono, non sentono/ non sanno forse che noi,/ quelli rimasti,/ siamo più morti di tutti…». Abdulah Sidran mette in scena con il poemetto Suze majki Srebrenice (Le lacrime delle madri di Srebrenica, ADV edizioni, Lugano, traduzione Nadira Šehovic) il genocidio, nel luglio 1995, della popolazione musulmana rifugiata nella enclave “protetta” di Srebrenica. La cittadina di poche migliaia di abitanti prima della guerra, ospita – quando l’assalto finale della Vojska Republike Srpske, l’accozzaglia di bande al comando di Ratko Mladic – 42.000 rifugiati. Le espulsioni e stragi della popolazione musulmana iniziano nel febbraio-marzo 1992 nelle città e villaggi lungo la Drina, la fatale Podrinija, la regione fluviale che fa confine con la Serbia. Massacri a Zvornik, a Bijelijna, a Foca, massacri sul ponte di Ivo Andric a Višegrad. «Una globale impresa genocida della quale Srebrenica è solo il segmento più orribile e più visibile» (Sidran).
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