di Alessandro D’Avenia
Il libro di Umberto Curi rinviene gli elementi distillati dalla cultura occidentale per una paideia del diventare «maggiorenni», senza impelagarsi in arzigogoli pedagogici. Il percorso si snoda tra filosofia e letteratura, senza risparmiarsi nessuna delle vette raggiunte sul tema: da Platone ai giorni nostri, passando per Kant, Dostoevskij, Melville, Hegel e la Sacra Scrittura. Il primo merito di questo libro è scrollarsi l’interpretazione delle età della vita come processo lineare e progressivo: la maturità conosce fughe in avanti, acquisizioni, ma allo stesso tempo passi indietro, regressioni. Il concreto vivente abita gli stadi della vita, centrati su specifiche forme da sviluppare, contemporaneamente e a cerchi concentrici: l’uomo non è essere lineare, ma polare. Oscilla in stato di continua tensione tra il polo dell’autonomia raggiunta, attraverso qualsiasi forma di parricidio, simbolico o reale, e il polo dell’obbedienza, cioè quella pienezza raggiunta obbedendo (ob-audire: ascoltare e far proprio) al discorso paterno.
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