Non sopporto la tendenza a demonizzare Internet che i media italiani (stampa e tv) mettono in scena quasi ogni giorno. In un paese con statistiche di accesso a Internet fra le più basse d’Europa (vedi Internetworldstats), con una cultura informatica e di rete traballante e poco diffusa persino fra i cosiddetti “nativi digitali”, con un’agenda digitale della quale molto si parla ma a favore della quale (ancora) poco si fa, trovo culturalmente reazionario e irresponsabile l’accanimento allarmistico e apocalittico con cui in Italia giornalisti, politici, intellettuali spesso parlano di Internet, social media e tecnologie digitali. Cosa vuol dire demonizzare? Vuol dire associare alla rete e ai media digitali automaticamente, sempre e comunque, senza distinguere realtà che sono più complesse e spesso anche del tutto diverse da come sono rappresentate dai media, significati e emozioni negative (ansia, paura, rabbia, angoscia): i videogiochi “fanno male” ai ragazzini, i social media contribuiscono all’isolamento e alla solitudine delle persone, la rete è piena di rischi e pericoli per tutti, adulti e ragazzini (pedofili, pirati, ladri, criminali vari), e persino se un adolescente si suicida finisce per essere “colpa” di episodi di cyberbullismo e cattive frequentazioni in rete. Queste tesi sono a volte implicite e/o presupposte da titoli, occhielli, interi articoli e trasmissioni televisive, ma spesso sono affermate in modo esplicito e diretto, ai limiti del ridicolo. Senza che gli autori si rendano conto del ridicolo, naturalmente.
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