Ieri sera sono stata da un’anziana vicina di casa. È una signora intelligente, colta, molto buona, e molto aperta, cordiale e disponibile. Da non molti anni si è riavvicinata alla Chiesa, ed ora la si vede il sabato sera, fedelissima alla celebrazione festiva della vigilia. L’altra sera, proprio alla prefestiva, mi sono seduta accanto a lei. Tenendo fra le mani il foglietto con le letture della domenica, mi ha chiesto se potevo passare a casa sua nei giorni successivi perché voleva chiedermi qualcosa sulle letture. Ieri sono andata, e la signora ha tirato fuori dal cassetto i foglietti di alcune domeniche dei mesi passati, accuratamente conservati ed annotati, chiedendomi alcune delucidazioni sulla Parola di Dio.
Effettivamente, quando mi ha mostrato i passi che l’avevano lasciata perplessa, per me è stata come una rivelazione. Chi, come me, ha avuto la fortuna di crescere in una famiglia molto credente, di ricevere un’ottima educazione cristiana, e la possibilità di coltivare i propri interessi teologici con incontri bellissimi e con studi specifici, forse non si rende conto di che cosa accade a chi frequenta soltanto la celebrazione domenicale oppure si avvicina alla Chiesa saltuariamente o in età adulta. Sono la prima a comprendere che lo spazio di un’omelia è ridotto; che non deve limitarsi ad una spiegazione ma deve anche toccare il cuore e la vita di chi ascolta; che bisogna tener conto delle esigenze e delle capacità di comprensione di tutti i fedeli. Giustissimo. Però resta il fatto che la maggior parte delle omelie non tocca quasi mai né la prima né la seconda lettura, e che – per dirne una – molti passi di san Paolo sono molto difficili da comprendere se non sono adeguatamente spiegati, e per molti estratti dall’Antico Testamento sarebbe importante fornire qualche coordinata storica (o almeno di contesto) per orientarsi in mezzo ai nomi complicati ed ai ruoli incomprensibili di certi personaggi.
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