L’appartenenza ecclesiale dovrebbe essere anzitutto fede nel Vangelo annunciato e rivelato da Gesù Cristo nella sua incarnazione, passione, morte e risurrezione. Sì, ci sono i carismi, i doni dello Spirito. Che hanno suscitato movimenti e associazioni a cui aderiscono laici, religiosi e religiose, anche sacerdoti e vescovi. Ma il rischio della clericalizzazione è dietro l’angolo, mentre i credenti laici hanno una vocazione specifica ben importante e scolpita: quella di testimoniare la loro fede, con la vita, nel “mondo”. Cioè nelle situazioni in cui si trovano: a casa, al lavoro, per strada, anche sugli autobus affollati e sui treni senza aria condizionata. Oltre che in parrocchia, naturalmente.
Sembra invece che in qualche caso si diventi “visibili” – nei grandi numeri, nell’informazione mainstream e pure sui social network, per cifre di “mi piace” e retweet – per la dichiarata appartenenza a un movimento, a un’associazione nazionale, a un gruppo nutrito e (diciamola tutta, alla romana) “ammanicato” con la gerarchia. Che conosce cioè vescovi e cardinali all’interno della curia romana o perlomeno in qualche diocesi di “spicco”.
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