di Luigi Alici
Le valutazioni politiche sono sempre difficili, perché frutto di una sintesi complessa fra la volontà soggettiva di “prendere partito”, facendo una scelta di campo che non è mai neutra, e la necessità di tener conto di fattori oggettivi, di circostanze e situazioni particolari, che non dipendono dalle nostre preferenze. Anche dinanzi all’accelerazione improvvisa che ha portato alla defenestrazione del Governo Letta e alla sua sostituzione con un esecutivo guidato dal nuovo segretario del PD, Matteo Renzi, è molto difficile bilanciare le nostre preferenze con una doverosa attenzione alla congiuntura storica in cui versa il nostro paese.
È dal giudizio che si può dare di questa congiuntura che dipende in larga misura la valutazione del nuovo governo. Se crediamo che il nostro paese non è allo sbando, che lo scenario apocalittico è solo funzionale ai poteri forti e che, tutto sommato, la scamperemo tranquillamente anche questa volta, allora le preferenze ideologiche possono essere fatte valere con forza: non si può accettare questa manovra di palazzo, si
poteva votare, abbiamo bisogno di un’alternativa radicale… Se, al contrario – come anch’io ritengo – la nostra situazione è giunta ad un punto di svolta delicatissimo, per certi versi ancora più critico di qualche anno fa, allora dobbiamo guardare in altro modo alla nascita del nuovo governo: anche se non ci piace, questo può essere l’ultimo treno. La situazione del paese è molto difficile proprio perché la congiuntura economica sfavorevole potrebbe cominciare – lentamente – a cambiare. Che ne sarà della nostra economia quando rutti gli altri paesi si rimetteranno a correre e noi resteremo al palo di una corruzione spaventosa, di un debito pubblico che ci consegna mani e piedi ai nostri creditori, di una cronica debolezza dei governi e dei parlamenti, incapaci di riforme, di coraggio e persino di decenza?
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