di Giovanni Maria Vian
Cinquant’anni fa, il 4 gennaio 1964, iniziava la visita di Paolo VI in Terra Santa, conclusa la sera dell’Epifania con l’abbraccio e le luci dell’accoglienza entusiastica e commovente di un milione di romani al loro vescovo. Furono solo poche ore, ma hanno cambiato il volto del papato. Da allora, infatti, i successori dell’apostolo Pietro hanno ripreso, in modo nuovo e in tutto il mondo, il cammino che il pescatore galileo e i primi seguaci del maestro di Nazaret avevano iniziato oscuramente, fidandosi solo della sua parola.

L’idea risale all’inizio stesso del pontificato, nel silenzio operoso della prima estate trascorsa a Castel Gandolfo, e viene consegnata in un appunto del 21 settembre che delinea l’itinerario come «rapidissimo», con un «carattere di semplicità, di pietà, di penitenza e di carità». Per prepararlo, in incognito partono per il Vicino oriente due stretti collaboratori del Papa, che vanno anche a Damasco ma constatano l’impossibilità di realizzarvi una tappa, come Paolo VI avrebbe desiderato per onorare la memoria dell’apostolo di cui aveva scelto il nome.
A dare a sorpresa l’annuncio, davvero clamoroso, è poi lo stesso Pontefice il 4 dicembre ai vescovi riuniti per la conclusione dei lavori del secondo periodo del concilio. «Vedremo quel suolo benedetto, donde Pietro partì e dove non ritornò più un suo successore» dice Montini. E un mese dopo l’impensabile si realizza, in cinquantasette ore durante le quali Paolo VI si sposta da Amman al Giordano e arriva a Gerusalemme, poi a Nazaret e sul lago di Tiberiade, per tornare nella città santa e visitare Betlemme, ripartendo infine da Amman.
Mezzo secolo più tardi è solo leggendo i testi, le cronache e i commenti di allora che si riesce a percepire la novità di un viaggio che solo qualche mese prima sarebbe sembrato impossibile e che le stesse interpretazioni degli storici, concentrati sul suo contesto politico o sulle dinamiche conciliari, non sembrano avere ancora colto nelle sue implicazioni più autentiche e rilevanti. A differenza, invece, di testimoni di allora, giornalisti e scrittori, ma innanzi tutto di due protagonisti.
È infatti nelle parole improvvisate «in presenza di Dio» e nei gesti di Paolo VI e di Atenagora, il patriarca di Costantinopoli incontrato a Gerusalemme dopo secoli di divisione, che s’intuisce il significato di questo vero e proprio «ritorno alle fonti del Vangelo», che apre a un futuro ancora non compiuto. In un viaggio che il Papa di Roma definì «come un colpo d’aratro, che ha smosso un terreno ormai indurito ed inerte».
post originale qui http://www.osservatoreromano.va/it/news/come-un-colpo-daratro#.UsfORtLuK24
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