di ROBERTO CARNERO
Intervistato su «Agorà» del 30 ottobre, Eraldo Affinati (docente oltre che scrittore) lamentava la sempre maggiore difficoltà che incontra nelle classi a tenere desta l’attenzione dei suoi studenti. Certo, lui ha scelto di lavorare con i ragazzi «difficili» (ma in fondo quale adolescente non è difficile?), come racconta nel suo «Elogio del ripetente» (Mondadori). Ma, da collega di scuola, posso assicurare che il problema è generalizzato. Risulta sempre più complicato, anno dopo anno, riuscire a catturare l’interesse dei ragazzi con i tradizionali argomenti del programma. Insegno in un liceo e l’altro giorno una collega che aveva iniziato la sua carriera alle medie mi diceva di trovare i ragazzi che oggi arrivano in prima superiore molto simili a quelli che vent’anni fa lei aveva in prima media: analoghe difficoltà di concentrazione, stessi ostacoli nel far condividere il rispetto delle regole, stesso deficit – appunto – di attenzione. Ma siamo sicuri che la mancanza di
attenzione riguardi soltanto gli adolescenti? Non la pensa così lo psicologo statunitense Daniel Goleman, noto al grande pubblico per il best seller mondiale «Intelligenza emotiva». Ho avuto occasione di incontrarlo nei giorni scorsi, essendo egli in Italia per il lancio del suo nuovo libro, «Focus. Perché fare attenzione ci rende migliori e più felici» (Rizzoli). Quando gli ho detto di essere un insegnante, mi ha sommerso di domande e alla fine ha rilevato che i problemi dell’attenzione a scuola di cui gli parlavo sono gli stessi evidenziati dai maestri e dai professori dell’altra parte dell’Oceano: si tratta quindi di una problematica globale. Ma di scuola poi non abbiamo più parlato, perché a suo avviso è l’intera società a essere poco attenta.
La lettura del suo libro mi ha fatto riflettere su alcune cose. Ad esempio sul fatto che oggi alla maggior parte di noi sembra normale dare la priorità agli strumenti della tecnologia che non alle persone in carne e ossa. Voglio dire: a molti appare scontato interrompere una conversazione vis-à-vis con un’altra persona perché squilla il cellulare e si risponde, oppure arriva un sms e si risponde, trascurando colui che si ha di fronte. Fino a qualche anno fa non era così e la gente tendeva ancora a considerare maleducato questo atteggiamento. La tecnologia ci ha portati verso un mutamento dei comportamenti sociali di cui forse non ci siamo neanche resi ben conto. Che fare? Goleman sostiene che l’attenzione è come un muscolo, cioè qualcosa che dobbiamo esercitare, altrimenti si atrofizza, e noi rischiamo di rimanere sostanzialmente soli, di sviluppare carenze in campo emotivo e sociale, apparentemente sempre connessi con il mondo tramite Internet, i social network, i cellulari, in realtà quanto mai isolati dalle persone vere e dai rapporti autentici. Mi sembra di poter aggiungere che l’attenzione è anche un valore profondamente cristiano.
Innanzitutto nel senso di fare attenzione a noi stessi, al nostro mondo interiore, alle istanze morali più profonde. E poi quale strada ci ha indicato Gesù con il comandamento dell’amore, se non proprio quella dell’attenzione? Dare al nostro prossimo la stessa attenzione che diamo (o che dovremmo dare) a noi stessi e che per noi stessi desideriamo.
Scopri di più da Pietroalviti's Weblog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Lascia un commento