di Maurilio Guasco, storico della ChiesaNon fu solo Celestino V a rinunciare al papato, dopo appena pochi mesi di pontificato, dal 5 luglio al 13 dicembre 1294.Altri, per ragioni diverse, fecero lo stesso gesto. Ma nella memoria collettiva è rimasto solo il ricordo di Pietro da Morrone, il monaco proclamato santo: forse anche per le poche parole molto critiche che gli ha dedicato Dante. Ma pare del tutto fuori luogo fare dei confronti con le dimissioni appena offerte da Benedetto XVI: è troppa la differenza del contesto storico e soprattutto della situazione della Chiesa cattolica.
Dopo quanto è stato scritto in ogni parte del mondo, diventa difficile provare a offrire qualche riflessione sull’evento: ma forse ne vale la pena. Le premesse di quel gesto si possono porre nella decisione di Giovanni XXIII di recuperare il suo ruolo di vescovo di Roma, un ruolo che sarebbe poi stato rivitalizzato dai suoi successori. Come si sa, il Papa è tale anche e soprattutto in quanto vescovo di Roma: ma da secoli ormai si era persa l’abitudine di considerare questo aspetto, vedendolo soprattutto come capo della cattolicità, centro di potere, persona sacra in quanto vicario di Cristo. Il recupero di quel ruolo avrebbe avuto diverse conseguenze, non ultima, il fatto che bisognava spostare l’attenzione dalla sua persona al suo ruolo, che possiamo in fondo ritrovare già nelle prime comunità cristiane: il vescovo è prima di tutto il pastore di una porzione di popolo e di una Chiesa. Deve cioè svolgere un compito determinato.
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