Una donna estrae tre oggetti da una borsa. Una tazzina da caffè, un cucchiaino e una medaglietta. «Tenga», dice. « È quanto la mia famiglia ha strappato alla guerra e all’invasione, sono doni per lei». Gli occhi dell’uomo si fanno lucidi e rifiuta: «Sono per i suoi figli – le risponde -, per i suoi nipoti. Li dia a loro». «No signore, senza di lei non avrei avuto né figli, né nipoti». È il 1988, la donna si chiama Eva Lang, è ungherese, ha raggiunto Padova col marito Pal, per conto di un gruppo di ebree di Berlino e Budapest.
Per la prima volta dopo quasi 45 anni, la storia di Giorgio Perlasca viene raccontata. Pochi sapevano di quell’uomo, nato a Como nel 1910, forte sostenitore del partito fascista fino al 1938, cioè fino alla promulgazione delle leggi razziali e all’alleanza con Hitler. Pochi sapevano di come questo sconosciuto si finse un diplomatico spagnolo e rilasciò salvacondotti falsi salvando la vita a 5.200 ebrei. Molti di più, forse, visto che ogni documento valeva per un intero nucleo famigliare. Il Talmud racconta di come ogni generazione abbia 36 giusti. Uomini da cui dipende la salvezza dell’umanità. Uomini umili chiamati all’azione e che, dopo aver svolto il proprio compito, tornano nell’ombra dell’anonimato. «Mio padre era uno di questi», dice Franco Perlasca, figlio di Giorgio, il “magnifico impostore”.
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