Andrew Blum ha scritto di recente un volume dal titolo Tubes: A Journey to the Center of the Internet. Per comprendere la sua tesi si potrebbe vedere anche il video su TED dal titolo What’s internet, really? La sostanza del discorso è: Internet non è un paesaggio della mente o un luogo virtuale, ma anche un insieme di tubi, macchine, cavi, fibra ottica,…: ha una realtà fisica e una geografia ben precisa. Se un topo rosicchia un cavo (ed è l’esperienza dell’autore) si rischia di essere subito off line.
Blum dunque si concentra sulla “fisicità” della Rete che spesso perdiamo di vista o non consideriamo. L’intento di Blum sembra quello di non smaterializzare troppo la Rete e di smentire una concettualizzazione del web viziata da un dualismo digitale frutto della contrapposizione tra il “virtuale”/immateriale e il “reale”/materiale che ci circonda. Blum ci dice insomma che la Rete crea un ambiente digitale, il quale è saldamente agganciato a una infrastruttura tecnologica fisica, materiale. E fa bene a dirlo.
Il rischio però è quello che, a mio avviso, corre Christian Martini Grimaldi in una sua interessante nota sull’Osservatore Romano dal titolo “Basta poco per un flop”. Nella sua riflessione afferma: “La rete internet insomma, a dispetto della nostra percezione, non è né più né meno concreta della rete idrica, o di quella del gas”. E che dunque internet sia “uno strumento come un altro (provate a vivere senza elettricità o senza gas in casa) che molti però proprio per quella percezione di natura eterea (è informe, è inodore, è incolore), dunque “intoccabile” di cui è investito, hanno trasfigurato in una specie di formula apotropaica (quando va bene), in figura mitica in tutti gli altri casi, addirittura capace di ispirare partiti politici e movimenti ideologici di accalappiamento di quel consenso mai stato così incostante e così lunatico come in questo scorcio di secolo”.
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