di Luca Telese per pubblicogiornale.it
Se vieni da fuori come me, per capire qualcosa di questa storia può servirti una passeggiata di nemmeno dieci minuti: traversare la città vecchia di Taranto da piazza Fontana al ponte girevole, entrare nel cuore antico e diroccato di una comunità che ha perso l’anima e sta cercando se stessa, senza ritrovarsi, sostare per qualche attimo nel turbine della crisi e nel buco nero di un presente sconnesso in cui passato e futuro si incontrano senza guardarsi negli occhi e senza mai darsi la mano.
Se traversi Taranto vecchia, a piedi, tra i murales senza tempo, i muri scrostati, le case diroccate e i banchi dove in mezzo alla via si puliscono le cozze, in un rito di quartiere che pare una liturgia, se cammini per la via di Mezzo incontrando branchi di gatti randagi sfamati da un uomo senza etá, e ritrovandoti sopra la testa balconi per metá senza pavimento dove una signora tranquilla stende i panni cantando parole antiche, lo puoi già vedere, anche se nascosto in fotogrammi scomposti, l’alfabeto della rabbia che in queste ore si é combinato come una soluzione esplosiva nella guerra civile dell’Ilva.
Questa é una città attraversata da una bellezza che ti colpisce al cuore malgrado la decadenza,questa é una splendida e misera città, che si declina nello stesso ossimoro con cui il friulano Pasolini raccontava il suo amore viscerale per Roma. Perché davvero Taranto oggi é splendida e misera come non é stata mai nella sua storia, ha perso se stessa, e riesce a ritrovarsi solo nella rabbia: siccome ha davanti agli occhi lo spettro della propria morte, questa cittá pensa di poter tornare a sentirsi viva solo nell’eccesso, quando le plebi degli arrabbiati, degli ultras e dei centri sociali si mescolano in un ruggito di disperazione che nel migliore dei casi significa: “Lo vedete, siamo ancora qui?”.
continua qui 2012-08-05
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