Corpus Domini


di don Gian Luca Carrega 

Dal Vangelo secondo Marco (14,12-16;22-26)

Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».
Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».
I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

L’Eucaristia è il corpo di Gesù, secondo il racconto dell’Ultima Cena (Mc 14,22). La Chiesa è il corpo di Gesù, dice Paolo nella lettera ai Colossesi (1,24). Allora l’Eucaristia e la Chiesa sono la stessa cosa? Beh, con calma… Ricordiamoci che stiamo parlando con un linguaggio simbolico, ma certamente è vero che tra queste due realtà esiste un legame profondo.
Giovanni Paolo II nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia (“La Chiesa vive dell’Eucaristia”) ricordava questo mistero per cui la partecipazione al corpo di Cristo nel sacrificio eucaristico ci costituisce collettivamente come chiesa-corpo di Cristo. Se, infatti, la Chiesa ha un senso nel mondo è soltanto per il legame con il suo Capo, per cui diventa presenza reale (sacramento!) di Cristo nel mondo. Ci nutriamo del suo corpo per portarlo nella vita di tutti, non per compiacerci di noi stessi. Abbiamo ricevuto un dono che non ci rende migliori degli altri, ma solo più responsabili. E questa responsabilità a volte è un peso difficile da sopportare, perché ci rendiamo conto della nostra indegnità.
Per fortuna viene in nostro soccorso la parola dell’apostolo Paolo: “Abbiamo questo tesoro in vasi di creta perché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio e non viene da noi” (2Cor 4,7).


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