Marco Iasevoli, dell’Azione Cattolica Italiana, ci propone alcune interessanti considerazioni sul rapporto tra moderati e antipolitica, studiando due fenomeni di questi giorni: la “caccia” al voto e al consenso dei moderati e il timore dei partiti per l’ascesa dell'”antipolitica” incarnata da Beppe Grillo.
Nelle riflessioni politiche degli ultimi giorni coincidono due fenomeni: la “caccia” al voto e al consenso dei moderati e il timore dei partiti per l’ascesa dell'”antipolitica” incarnata da Beppe Grillo.
Non è un caso che i due temi procedano insieme, perché in realtà sono due facce della stessa medaglia. Nell’anno domini 2012, in piena crisi economica, nel cuore di una forte recessione, gli “antipolitici” non sono estremisti di destra o di sinistra che rinnegano le istituzioni e il sistema tradizionale dei partiti. Chi contesta le segreterie e i loro “intrallazzi” romani sono, invece, proprio i moderati, coloro che pagano le tasse perché “tracciati”, che si approcciano alla cosa pubblica senza ideologie di fondo, che desiderano le riforme e sono pronti a pagarne lo scotto a breve termine, che non sopportano più corporazioni orizzontali (associazioni datoriali e sindacali) e verticali (le lobbyes), che ancora vogliono investire nella famiglia, fare figli, crescere – vivere bene – ricevere servizi nelle loro città, restare con prospettive nel loro Paese. Sono persone pacate e “per bene”, per niente scalmanate. Il loro segno è la stanchezza, l’insofferenza per l’inerzia politica che fa contrasto con i loro sacrifici quotidiani.
L’antipolitica dei moderati non è dunque l’antipolitica dei giovani, sottovalutata dai partiti perché considerata strutturale e con alto tasso di turnover. Non è nemmeno l’antipolitica dei movimenti estremi, perché cronicamente affetta da “nanismo”, incapace di contagiare masse più ampie e diversificate. E non è l’antipolitica delle élites intellettuali, così attenta a porsi sempre al di sopra delle “insofferenze borghesi”.
Questa antipolitica – si ragiona nelle segreterie di partito – ha sempre partecipato al voto, ha provato Berlusconi, Prodi, il centro, Di Pietro, si è entusiasmata per la “rivoluzione liberale” del centrodestra, ha dato credito alla nuova “sintesi culturale” del Pd. Perciò non è facilmente raggirabile: perché le ha provate tutte. E da tutti ha incassato la stessa risposta: carico fiscale più alto, servizi sempre peggiori, occupazione malata e precaria, privilegi e spesa pubblica toccati con i guanti di velluto, crescita inesistente.
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