Alessandro Liburdi ha intervistato il pittore Marco Gizzi. Un dialogo ricco di tante sollecitazioni culturali. Dal sito www.cogitanscribens.wordpress.com
Finora Marco Gizzi lo aveva visto a qualche incontro della Fabraterni: una decina di conversazioni sporadiche, con una semplice stretta di mano, il «come stai?» di rito e un sorriso, il suo, segno di una grandezza interiore che non si lascia trasparire e che dietro quel sorriso vuole continuare a nascondersi, nello straordinario mondo che ha coltivato dentro sé. Ora lo rincontro all’alba di questa primavera, nel giorno dell’equinozio da sempre tanto propizio per il giardino, che lui personalmente cura nella sua splendida casa alle porte di Ceccano. Mi accoglie, Marco, parlandomi di fiori con una perizia piena di amore: i giacinti profumati sotto la veranda sono il miglior segno di benvenuto che si possa ricevere arrivando davanti alla porta di casa. Appena entrato, mi accorgo ancora di più che la casa non è una casa, ma è già un museo, una corolla di stanze che ospitano le tele di Marco, che ospitano tutto il suo mondo figurativo e visionario: a partire da quella splendida sirena adagiata sullo scoglio e dalle
montagne piene di occhi che gli fanno da sfondo, che compare in salotto lì, sovrana prestante della sua fervida immaginazione. Dopo aver salito la scala a chiocciola, si entra nel suo spazio che è insieme studio, laboratorio e bottega: uno studio perché nell’arte di Marco c’è tanta tantissima sapienza; un laboratorio perché la sua opera è anche sperimentazione scientifica; infine una bottega, perché Marco è fondamentalmente un artista ante litteram, che lavora artigianalmente sulla tela e da essa estrapola un linguaggio figurativo tutto particolare, pieno pienissimo delle più svariate simbologie che lui, artista di trentennale esperienza, maneggia come un demiurgo mantenendo sempre una dimensione umile e frugale. In questo ambiente piccolo e pieno zeppo di tele e pennelli, colori e riviste, modelli per nature morte e riproduzioni di elmi medievali, in questo spazio impregnato dell’odore magico della tempera a olio, Marco lavora e confessa che solo qui dentro riesce a essere davvero se stesso… Ed è qui, in questa mansarda che ha finestre chiuse e una potente luce elettrica, che comincia la nostra conversazione.
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