La « livrée » del cardinale Annibaldo Ceccano
Corrado BELLUOMO ANELLO
Avignon
Il nome del cardinale Annibaldo Ceccano è legato nella memoria degli avignonesi all’attuale biblioteca municipale, che si trova nella più importante « livrée » cardinalizia di epoca pontificale e oggi la meglio conservata.
Che cos’è una « livrée » ?
A proposito delle dimore cardinalizie avignonesi al tempo dei papi le informazioni possedute sono spesso poco chiare e persino, a volte, contraddittorie.
Contrariamente a quanto molti credono, il termine « livrée » non é sinonimo di « palazzo cardinalizio ». All’origine e nella maggior parte dei documenti dell’epoca ponitificale esso ha un’accezione più modesta ; è « il diritto di occupare » in condizioni vantaggiose[1] un certo numero di case o parti di case private requisite[2], diritto riconosciuto ufficialmente dalla corte papale ai cardinali, o eventualmente ad altre personalità. La pratica di questa attribuzione di quartieri esisteva già prima dell’arrivo dei papi. Il numero delle « livrées » non è per nulla stabile : alle 26 costituite nel 1316 se ne aggiunsero altre nel 1321 e nel 1328 ; altre sopravvissero a intermittenza o furono soppresse.
E’ l’affermarsi della corte papale ad Avignone che spinse i cardinali a costruire dei « palazzi »[3] sul luogo delle case ad essi devolute, dopo averle acquistate a titolo privato, e di cui alcuni testimoni continuano a sussistere ; la superficie di tali palazzi non coincideva necessariamente con quella della « livrée » all’interno del cui perimetro alcune case potevano continuare a restare proprietà di privati. Alla morte del cardinale, il diritto di « livrée » era attribuito ad uno dei suoi colleghi ma l’edificio costruito spettava ai suoi eredi : parenti o istituto ecclesiastico di cui il successore del cardinale diveniva così affittuario, a meno di acquistare il palazzo che occupava. Bisogna dunque distinguere nella parola « livrée » un senso giuridico (il diritto di occupazione) ed un senso effettivo (le costruzioni realizzate).
Precisiamo che noi ignoriamo l’importanza degli edifici costruiti dai cardinali e perfino la proporzione secondo la quale le costruzioni di ciascuna « livrée » poterono divenire ad un certo momento la proprietà di cardinali : parti intere di « livrées » continuarono a restare proprietà di avignonesi.
Non va inoltre dimenticato che i cardinali acquistavano a volte a titolo privato dei beni al di fuori delle loro « livrées » : troviamo così verso la fine del XIV secolo un certo numero di case a metà rurali che potevano sevire da rimesse e forse anche da case di villeggiatura tra la vecchia cinta muraria ed il Rodano. Ma soprattutto molti cardinali si fecero costruire delle lussuose dimore fuori Avignone : a Sorgues, Montfavet, e soprattutto a Villeneuve[4] : queste prestigiose dimore rimanevano tuttavia dei palazzi privati e non beneficiavano dello statuto giuridico delle « livrées » avignonesi.
Secondo un’antica tradizione, le « livrées » sono generalmente designate con il nome dell’ultimo o penultimo cardinale che le ha occupate. Alcune però, soprattutto ai nostri giorni, fanno eccezione : così la « livrée » un tempo chiamata della Vergne[5] ha ripreso adesso il nome di Ceccano, dal nome appunto del cardinale che l’ha fatta edificare.
Ricordiamo che le « livrées » non costituivano un insieme omogeneo[6] ma potevano estendersi su diversi isolati : si distingueva a volte la « grande » e la « piccola » livrée, quest’ultima accoglieva i domestici ; la strada che le separava prendeva spesso il nome della « livrée » ; questi palazzi erano isolati alla meno peggio da barriere di legno poste nelle strade, che erano chiamate « cancel ». Il cardinale viveva nella sua « livrée » avignonese circondato da una piccola corte all’immagine della corte pontificia che comprendeva i suoi parenti ed i suoi ‘familiari’ : camerlengo, cappellani, notaio, paggi, scudieri, medico, cuoco, pasticciere, palafrenieri etc… I familiari laici dei cardinali costituivano a volte un piccolo mondo turbolento : nel 1372 il camerlengo del papa ingiunse ai camerlenghi dei cardinali di proibire agli abitanti delle « livrées » il porto d’armi, o di assumerne la responsabilità e di denunciare tutti coloro che si sarebbero resi colpevoli di risse[7].
Per affermare il loro diritto di occupazione, e questo più probabilmente sulle case che non appartenevano loro, i cardinali avevano l’abitudine di fare dipingere il loro blasone sui muri di queste ; vi si fa allusione nelle contese con i proprietari i quali a volte riuscivano a far togliere questi stemmi imposti abusivamente dai prelati.
Sembra inoltre che i cardinali, come altri cortigiani, pagassero in modo irregolare l’affitto delle case che non gli appartenevano : nel 1373 in seguito ad una denuncia da parte dei cittadini e dei proprietari, il papa Gregorio XI prescrisse di obbligare gli ospiti indelicati a pagare il dovuto[8].
Il cardinale Annibaldo Ceccano, arcivescovo di Napoli, cardinale di San Lorenzo in Lucina nel 1327, vescovo di Tuscolo verso il 1333, morto nel 1350 occupa dapprima la « livrée » di Cambrai : nel 1328 23 case o parti di case gli furono attribuite[9], tale lista è ripresa nel 1328 nel registro delle tasse sotto una forma leggermente diversa poiché essa comporta soltanto 17 nomi di proprietari ma questa volta con una breve descrizione delle costruzioni[10]. Vi rimase almeno fino al 1332. L’anno dopo[11] lo troviamo nella « livrée » di Pierre d’Arabloy, ex cancelliere del re di Francia, cardinale di Santa Susanna nel 1316, vescovo di Porto nel 1328, morto nel 1331. Immediatamente si mise ad acquistare delle case, più o meno importanti, acquisizioni di cui abbiamo poche tracce[12] : così nel 1333 per 180 fiorini un palazzo del pellicciaio Guillaume Damien, per 100 fiorini un palazzo appartenente all’ordine dei pellicciai, nel 1334 per 50 fiorini il palazzo del calzolaio Raymond Jourdan, nel 1338 per 500 fiorini il palazzo di Jacques Rascas e Francesca sua moglie, nel 1340 per 14 fiorini quello di Pierre Sabatier, nel 1344 per 37 fiorini quello di Bartolomea moglie di Pierre di Turribus e nel 1349 per 1.400 fiorini due palazzi appartenenti alla successione di Pierre Blanc ; si affrettò inoltre qualche settimana dopo questa ultima acquisizione a scambiare uno di essi con un altro appartenente al damigello Amaury Ortigue che era completamente circondato dalle costruzioni appartenenti al cardinale.
Le acquisizioni realizzate dal cardinale furono particolarmente importanti e un documento del 1353 precisa che questi fece costruire « dei palazzi, delle case e varie abitazioni »[13].
Annibaldo occupava altresì delle costruzioni che non gli appartenevano : così nel 1334 una parte della casa di Ferrier Alphant[14] e nel 1346 un’altra appartenente ai figli del defunto Raymond Germain[15]. Altre case sono menzionate in mano ai suoi familiari : nel 1333 quella di Hugues Aubert occupata dal suo medico Nicola[16] e nel 1344 quella di Bertrand de Balmis dove abita il suo cuoco Boccaccio[17].
Con il testamento del 17 giugno 1348 il cardinale dotava la fondazione che voleva creare a Gentilly[18] di censi istituiti su dieci case a lui appartenenti nella sua « livrée » : si tratta in particolare di una rimessa, di una casa contenete un forno, di costruzioni contenenti la cappella e delle camere. La proprietà di queste case, come quella della « grande livrée » e di altre case che il cardinale possedeva a Villeneuve e ad Avignone, andavano ai suoi nipoti Giovanni Ceccano, canonico di Parigi, e Annibal Ceccano, canonico di Cambrai, i quali dovevano essere i titolari della collegiata Sant Martial di Gentilly .
Alcuni anni più tardi un certo numero di immobili appartenenti all’esecuzione del cardinale Ceccano furono venduti agli esecutori di Bertrand de Deaux, i quali per realizzare il desiderio di quest ultimo circa una fondazione pia, avevano deciso di ricostruire la chiesa di St Didier. Il 20 aprile 1360 un esecutore testamentario di Annibaldo vendeva ancora al collegio di St Didier un terreno di circa 11 metri su 4 per 35 fiorini.
Descrizione della « livrée » Ceccano
Rimarchevole è il suo stato di conservazione, dovuto ad un restauro esemplare. Collegio gesuita a partire dal 1564, poi liceo dopo il 1810, con un intermezzo militare durante la Rivoluzione. Dal 1982 è sede della biblioteca municipale che deve la sua origine alle confische rivoluzionarie che hanno riunito i libri conservati nelle chiese e nei conventi della città. Essa contiene oggi 250 000 volumi stampati, 7 000 manoscritti di cui numerosissimi miniati, un fondo di disegni e stampe di circa 60 000 pezzi, tra cui una collezione di iconografia religiosa, ritratti, carte ed un ricco fondo musicale. Oggi vi si accede dal lato est ; l’ingresso antico è nascosto da un corpo di costruzione che risale al 1600, epoca in cui la « livrée » diviene un collegio gesuita. Concepito come una casa fortezza, l’edificio non presenta alcuna finestra al pianterreno. La merlatura è stata ricostituita a partire da un solo elemento rimasto integro. Attraversata la costruzione seicentesca, si giunge in una prima sala del ‘300 a soffitto ligneo con tracce di elementi pittorici.
Al pianterreno, il soffitto presenta 9 luci separate da travi di primo piano; ogni luce contiene 3 cassettoni, delimitati da travi di secondo piano, ognuno dei quali è diviso in 54 compartimenti. Questi ultimi sono alternativamente rossi e blu, decorati da un ramo attorcigliato e foglie trilobate. I correnti portano dei lati rossi bordati di blu ; la parte sottostante è blu bordata di rosso. Le assi di intercapedine sono rosse o blu tutte recanti una decorazione a fogliame. I colori naturalmente sono oggi un pallido riflesso della gamma cromatica di origine. Il blu in particolare tende verso il verde o addirittura il grigio. La decorazione delle travi di primo piano (arabeschi e foglie trilobate) offre un importante esempio della giustapposizione di elementi presi in prestito da due culture, quella francese e quella italiana, e che costituisce una caratteristica peculiare della Avignone del XIV secolo. Da una trave all’altra, si passa da un arabesco « francese », dal tracciato sottile, lineare a regolare, ad un arabesco « italiano » più largo e nervoso. Le travi di secondo piano portano un fregio di quadrati posti sulla punta e decorati con una foglia blu o rossa.
Le pareti sono ricoperte da una decorazione murale non omogenea (apposta direttamente sulla pietra senza intonaco) che mostra chiaramente che la stanza era divisa in due mediante un tramezzo, oggi inesistente, ma la cui posizione è stata rispettata nel corso del restauro : esso si trovava nel pieno dell’asse di una finestrella. Divideva una prima parte, una specie di anticamera, dalla decorazione semplice costituita da un fondo verde chiaro sul quale si stagliano dei piccoli fiori a cinque petali di colore arancione. Ai lati delle due finestre si trovano due grandi cerchi di colore rosso, all’interno dei quali erano probabilmente contenuti dei blasoni. La parte bassa presenta una decorazione a motivo di pelliccia. La seconda parte presenta delle dimensioni più grandi, in fondo ad essa sulla parte sinistra della parete settentrionale è ancora visibile la pendenza di una scala la cui tromba è delimitata da una falsa apparecchiatura, e che conduce alla sala del piano superiore; essa era forse una sala di ricevimento le cui pareti conservano una sontuosa decorazione pittorica. Archi a conci neri e bianchi che rivelano il gusto per il trompe-l’œil sormontano gli stemmi della famiglia Ceccano, quello del cardinale Jacopo Stefaneschi, e il blasone partito Ceccano-Stefaneschi , questi due ultimi sormontati dal cappello cardinalizio. Sotto questi stemmi si vedono dei grandi quadrati con un fondo a motivo di pelliccia o punteggiato, con al centro dei cerchi rossi dai motivi oggi scomparsi. Una seconda serie di quadrati portano ancora gli stemmi, ma più piccoli, dei due cardinali.
Al secondo piano la sala, lunga 30m, larga 10m e alta 8m, appare divisa in tre parti da tramezzi spessi circa 20cm.
Nella parte a sud, le pareti di colore rosso-arancio sono ricoperte da fiori azzurri a cinque petali; il soffitto si presenta a quadri blu e rossi all’interno di ciascuno dei quali si vede un fiore bianco a cinque petali.
La parte centrale è quella più interessante da un punto di vista decorativo. Le pareti sono di colore blu ricoperte di fiori rossi a cinque petali. I dodici cassettoni del soffitto mostrano quadrati di colore rosso e blu, con fiori pentalobati bianchi e rami trilobati. I correnti sono decorati a losanghe a punta nere, bianche, rosse e blu. Il fregio superiore, immediatamente al di sotto del soffitto, sostenuto da falsi modiglioni e da una fila di false pietre a bugnato –gialle e rosse- presenta quadrilobi bordati di bianco all’interno dei quali si trovano mostri bipedi, delle vere e proprie arpie dalla testa a volte umana, con o senza ali, su fondo rosso. A questi quadrilobi se ne alternano altri di colore blu che contengono gli stemmi dei Ceccano e degli Stefaneschi. In tutto, 194 quadrilobi che proclamano la potenza del cardinale Ceccano, la sua altezza e « il suo trionfo sul mondo volgare delle grottesche ». Sotto le travi di secondo piano si succedono quadrati rossi e blu decorati di un fiore bianco a quattro petali, mentre sotto le travi di primo piano sono rafigurati rami verdi a foglie di vigna su fondo rosso.
La terza parte, a nord, illuminata da una immensa finestra a terzo punto aperta sul vuoto, unico esempio a Avignone, era certamente un luogo dove il cardinale poteva lavorare ma anche ricevere. Il soffitto è a quadri con quadrifogli rossi e blu al centro dei quali sono raffigurati fiori a sei petali dal colore invertito : quadrifoglio rosso-fiore blu, quadrifoglio blu-fiore rosso. I travetti sono a losanghe blu, rosse, bianche. Sulle travi di primo piano e in fregio lungo le pareti, si vedono gli scudi ripetuti con lo stemma del cardinale Annibaldo. Sulle assi di intercapedine, di cui solo due sono originali, il resto sono una ricostituzione essendo state le altre ricoperte di intonaco o addirittura bruciate, si trovano delle gazze dalle ali nere e dal ventre bianco. Si tratta di un animale che ricorre frequentemente nella decorazione murale del ‘300, come attestano il palazzo di Anagni e il palazzo comunale di San Gimignano. Ricordiamo tuttavia che in italiano il secondo termine per designare la gazza è proprio –cecca, forma che ritroviamo nella radice del nome Ceccano. E’ dunque probabile che la presenza di questo animale non obbedisca unicamente a dei canoni decorativi, ma sia preso come emblema parlante del cardinale.
Sotto il soffitto, corre lungo le pareti un fregio contenente lo scudo partito Ceccano-Stefaneschi.
Sulle vaste pareti, dai colori rosso e blu, si iscrivono decine di blasoni resi illeggibili dal tempo, la cui identificazione, salvo per una dozzina circa, non è stata fino ad ora possibile, ed il cui enigma si pone dunque per ben 126 volte !
A proposito dei blasoni delle famiglie Ceccano e Stefaneschi
Il blasone della famiglia Ceccano[19], ripetuto a piacere sulle pareti della « livrée » del cardinale Annibaldo, e che ritroviamo pure nel fregio del soffitto della « livrée » di Viviers al numero 2 da est ad ovest, presenta “un’aquila d’argento dalle ali spiegate su fondo rosso” ; quello del cardinale Jacopo Stefaneschi, suo zio, ” tre fasce d’argento su fondo rosso recanti sei lune crescenti di colore rosso 3, 2, 1 “. Ad essi aggiungiamo lo scudo partito, “all’1 : mezza aquila d’argento su fondo rosso, al 2 : fasciato di rosso e d’argento di sei pezzi, le fasce d’argento recano sei lune crescenti di colore rosso, poste nell’ordine tre, due, uno”. Gli ultimi due stemmi sono sempre sormontati dal cappello rosso dei cardinali, le cui cordicelle terminano in una sola nappa[20].
Conosciamo diversi blasoni originali del cardinale Annibaldo : prima di tutto due sigilli provenienti dalla stessa matrice, su due atti del 1347 e del 1348 : l’uno si trova negli Archivi di Francia (Série L 839 B, n° 150, citato da Douët d’Arcq, Collection de Sceaux, n° 6, 183 e riprodotto da Font Reaulx , op. cit. vd. nota 20, 1972, p. 31, n° 58) l’altro su un atto del 1349 che si trova negli Archivi dipartimentali della Côte d’Or (B. 11.206, riprodotto dal Dyckmans, Le Cardinal Annibal de Ceccano…, tav. IV). In punta, nel registro basso di questi sigilli a forma di mandorla (70×43 mm circa), il cardinale è inginocchiato sul suo stemma, in mezzo ad altri due stemmi, tutti e tre con i simboli partiti Ceccano-Stefaneschi.
Conosciamo pure due sculture su pietra : la parte inferiore del suo blasone partito presso l’abbazia secolare Santa Maria a Fiume nel borgo di Ceccano e –sempre in forma partita- sul frontone del portico laterale della chiesa deli Agostini, nella città di Carpineto. José Maria Suarès segnala (ms. Vat. Barb. Lat. 3055 fol. 85) a proposito del cardinale Annibaldo : « …huius insignia incisa sunt fornici capellae extremae Franciscanorum ecclesiae Avenionensis » purtroppo oggi inesistente.
Annibaldo Ceccano e Simone Martini
Sappiamo che il celebre pittore senese Simone Martini giunse probabilmente a Avignone intorno al 1333-34 e qui muore nel 1344. L’epoca del suo arrivo sembra confermata dalla datazione dei sonetti LXXVII e LXXVIII dei Rerum vulgarium fragmenta di Francesco Petrarca, collocata tra il 1335 ed il 1336, nei quali l’aretino lo saluta come nuovo Policleto o Pigmalione per aver egli ritratto il volto di madonna Laura. Molti sono coloro che sostengono che sia stato il cardinale Jacopo Stefaneschi, grande figura di mecenate, a chiamare il pittore ad Avignone e ad incaricarlo della decorazione del portico della cattedrale Notre Dame des Doms.
Su una delle sue pareti Simone Martini avrebbe raffigurato un San Giorgio, con il suo cavallo bianco, la lancia con la quale uccide il drago e libera una principessa. L’affresco portava un’iscrizione di quattro versi :
Miles in arma ferox captare triumphum
Et solitus vastas pilo transfigere fauces
Serpentis totum spirantis pectore fumum
Occultas extingue faces inbellis, Georgi.
Questi versi secondo la tradizione avignonese sarebbero stati presi in prestito dall’opera di Petrarca. In realtà si leggono nel codex di San Giorgio (Ms. Vat. Saint-Pierre C 129, ff. 81v-82) e sono quasi certamente dello stesso Jacopo Stefaneschi. E’ dunque lui che li avrebbe fatti mettere, dato che gli stemmi che li circondavano e che portavano le sue sei lune crescenti erano i suoi. Ma gli stemmi sono descritti da un’altra quartina che nomina come donatore non già lo Stefaneschi ma Annibaldo Ceccano e gli attribuisce le lune crescenti[21]. Sappiamo che il cardinale Ceccano aveva aggiunto le sue armi a quelle di suo zio. Il suo stemma portava dunque oltre all’aquila anche le lune crescenti. Evidentemente se questa quartina si sbaglia circa il nome dell’artista che viene chiamato Memmi (Lippo Memmi è il cognato di Simone), tuttavia l’indicazione araldica agisce di sorta che non possiamo escludere la possibilità che Annibaldo abbia potuto essere colui che ha portato a termine l’opera cominciata o, addirittura, che sia stato lui a commissionarla. Di questo affresco, visibile secondo le testimonianze sino agli inizi del 1800, sfortunatamente non rimane più nulla se non una bella leggenda : quella che per molto tempo ha visto nei tratti di San Giorgio il volto del Petrarca e, naturalmente, in quelli della principessa vestita di verde i tratti di Laura. Più tardi questa principessa è stata identificata con santa Margherita per via della presenza del drago, uno degli attributi della santa[22].
Simone Martini esegue per il portico due altri affreschi : il timpano triangolare che mostra un Cristo benedicente, ed una lunetta posta al di sopra della porta di ingresso della cattedrale . Ci soffermeremo su quest’ultima. Essa contiene una Vergine con Bambino con la quale Simone Martini rivoluziona l’iconografia mariana inaugurando un nuovo tipo, quello della Madonna d’umiltà, semplicemente seduta per terra e non più su un prezioso trono, ma tuttavia di una estrema nobiltà. Intorno alla Vergine, il cui viso chinato verso il bambino Gesù prende un sentimento dolcissimo, addirittura malinconico, si trovano due angeli che sorreggono dietro di loro un drappeggio. L’angelo di destra lo sorregge con entrambe le mani, quello di sinistra lo tiene con una sola mano e con la destra mostra il donatore.
Chi è questo donatore ?
Enaud nel suo Simone Martini à Avignon (in “Les monuments historiques de la France” 1963), ha immaginato l’artista senese sulle sue impalcature « dans la chaleur de l’étè de 1341 vraisemblablement » (p. 135). Sappiamo che il cardinale Stefaneschi muore all’inizio dell’estate di quello stesso anno, esattamente il 23 giugno ; pertanto non possiamo accettare tale data come quella di realizzazione dell’opera, ma possiamo avanzare l’osservazione che l’artista può aver cominciato la sua opera l’anno prima (1340), o ancora l’anno dopo (1342) o addirittura nel 1343. Se accettiamo le ultime due date il cardinale che avrebbe commissionato l’affresco sarebbe Annibaldo Ceccano e il ritratto in ginocchio davanti alla Vergine sarebbe il suo. Il Dykmans avanza, allora, due ipotesi egualmente probabili. La prima, Stefaneschi ha commissionato, e Annibaldo ha fatto completare e pagato (sia con i denari dell’eredità dello zio di cui era esecutore testamentario, sia con i propri ). La seconda, Annibaldo è stato il donatore ed è lui che vediamo orante ai piedi della Madonna[23]. Le due ipotesi sembrano, a parer nostro, trovare ulteriore conferma nello studio che Enaud ha fatto sui quattro studi preparatori (uno direttamente sul muro, tre su intonaci sovrapposti) eseguiti da Simone Martini per l’affresco della lunetta prima di giungere all’opera definitiva. Nella fase numero quattro, quella in cui l’artista, su una base di intonaco di circa 3 mm, riporta minuziosamente tutto il disegno e unicamente in « sinopia », appare qualche pentimento proprio al livello della testa del donatore. Secondo lo studioso essa è stata modificata su richiesta dello stesso Stefaneschi ; ma si potrebbe azzardare l’ipotesi che, essendo questi morto nel frattempo, Simone Martini l’abbia sostituita con quella del nostro Annibaldo Ceccano.
Un’ultima osservazione potrebbe essere fatta a favore del cardinale Ceccano donatore dell’opera. Si tratta del Polittico Stefaneschi, conservato nella Pinacoteca Vaticana realizzato da Giotto verosimilmente nel 1313 o immediatamente dopo su richiesta di Jacopo Stefaneschi -rappresentato due volte o addirittura tre se si considera la figura contenuta nella miniatura del polittico stesso- e considerato di « importanza capitale per la storia della pittura italiana del XIV secolo »[24]. I vari studiosi –tra cui il Dykmans[25]– hanno da sempre sostenuto che la donazione fatta dallo Stefaneschi di questo polittico maestoso destinato alla più grande chiesa pontificale, la cattedrale di San Pietro a Roma, riveste un significato politico : Stefaneschi esprimeva, oltre al suo attaccamento personale alla ‘città eterna’, la sua volontà e quella degli altri cardinali italiani che il papato ritornasse finalmente alla sua sede leggittima. Alla luce di tale affermazione ci sembra difficile accettare e capire che proprio lui che aveva inoltre commissionato la celebre Navicella sempre per la cattedrale di San Pietro e si era interessato all’arte al servizio della basilica di San Paolo fuori le Mura, abbia voluto dotare Avignone, Babilonia usurpatrice della sede apostolica, dell’opera di uno dei più grandi maestri della scuola senese !
[1] Si stabilisce un affitto il cui montante è sottomesso a tassa ; ma il proprietario non può vendere la sua casa se non al cardinale stesso nè darla in dote, o in affitto ad altri se non ai familiari del cardinale.
[2] Era tuttavia previsto, secondo i termini del decreto del 1316 per l’affitto delle case ai cardinali, di trovare un alloggio per il proprietario che era stato privato della sua dimora ovvero di riservargli una parte della sua abitazione.
[3] Il termine non ricorre mai nei documenti, esso è riservato unicamente al palazzo pontificale ; si parla dell’ « hotel » del cardinale.
[4] L’attuale Museo ‘Pierre de Luxembourg’ è ritenuto trovarsi all’interno della dimora appartenuta proprio al cardinale Annibaldo Ceccano ; a tale proposito tuttavia nessun documento fino ad ora sembra venire in soccorso.
[5] Pierre de la Vergne, cardinale di Santa Maria Lata nel 1371, morto nel 1403, e proprietario del luogo a partire dal 4 novembre 1379.
[6] A volte perfino il diritto di « livrée » porta unicamente su una parte di casa tagliata verticalmente o orizzontalmnte.
[7] 13 aprile, Arch. Vat. Coll. 352 f. 37.
[8] 1 dicembre (Reg. Av. 189 f. 37).
[9] P. Pansier, Les palais cardinalices d’Avignon aux XIV et XV siècles, Avignon, 1926-1932, II p. 25 ; il testo si trova anche nel registro Coll. 52 f. 100v-101.
[10] Coll. 52 f. 184.
[11] La prima attestazione sembra essere la tassazione del 6 febbraio 1333 : « Ite subtulum cum solario Guillelmi Bajuli, quod tenet Vayranus Porcelli in librata card. De Neapoli, taxamus in concordia in IV tur. Arg. cum o rotondo pro mense quolibet » (Coll. 52 f. 235).
[12] Sette atti dal 1333 al 1349 (H Celestins de Gentilly 48 n° 4, 5, 6, 7, 8, 9, e 49 n°52, editi in parte da Pansier II pp. 128-130).
[13] Transazione nel 1353 degli esecutori di Annibaldo Ceccano con l’abate di St Rufo di Valence a proposito del laudemio che il cardinale non aveva mai pagato sulle acquisizioni da lui fatte (H Célestins 48 n°11).
[14] « Item subtulum domus Ferrarii Alphanti, quod tenet dom. Card. de Neapoli » (Coll. 52 f.246).
[15] 19 agosto : « Item subtulum cum solario liberorum quondqm Raymundi Germani, quod tenet rev. in Christo pater dominus episcopus Tusculanus, taxamus in concordia in quatuor flor. Auri pro anno nisi alter etc. » (Coll. 53 f. 17).
[16] « Item subtulum cum duobus solariis Hugonis Alberti, quod tenet mag. Nicolaus medicus dom. card. de Neapoli, taxamus in IV tur. Pro mense » (Coll. 52 f. 242v).
[17] « Item subtulum cum medio solario Bertrandi de Balmis, quod tenet Bocachius, cocus dom. Neapolitani cardinalis, taxamus in concordia in VIII fl. pro anno » (Coll. 53 f. 15). Nel 1346 metà del primo piano della casa degli eredi di Raymond Nicolas è occupata da un altro cuoco di nome Jean e tassata 3 fiorini l’anno (ibid. f.15v).
[18] Non si tratta dei Celestini che saranno fondati da suo nipote il cardinale Francesco degli Atti, ma solamente della chiesa del luogo suddetto che erigeva a colleggiata (vd. M. Dykmans, Le cardinal Annibal de Ceccano. Etude biographique et testament du 17 juillet 1348, in Bulletin de l’Institut historique belge de Rome, 43 (1973), pp. 286-291).
[19] Cf. Gelasio Caetani, Caietanorum genealogia, Perugia 1920, tav. 64-69 ; e, Idem., Domus Caietana, Sancasciano Val di Pesa, 1927, t. I, 1, pp. 70-71 e 279.
[20] A. Ciaconius, Vitae et res gestae pontificum romanorum et S. R. E. Cardinalium, Roma, I ed., 1601, 2 voll. ; II ed., 1630, 2 voll. ; III ed., 1677, 4 voll. Nell’edizione del 1601, a proposito dello scudo partito Ceccano-Stefaneschi, Ciaconius presenta la variante seguente : all’1 la mezza aquila è tagliata d’argento e di rosso ; al 2 l’alternanza delle fasce d’argento e delle fasce rosse è invertito.
Nell’edizione del 1677 la parte Stefaneschi scompare del tutto : all’1 :”tagliato d’argento e di rosso con l’aquila ; al 2 : in punta un piccolo scudo azzurro recante un fiore di giglio d’argento”. E’ così che lo riportano F. Della Mara, Discori delle famiglie… (Napoli, 1641, p. 139), et G. Jongelinck, Purpura divi Bernardi… (Cologne, 1644, p. 22), mentre, nel 1635, G. Grimaldi, Cathalogus… archipresbitorum basilicae Vaticanae (ms. Vat. Barb. Lat. 2791, fol. 69v) ripropone lo scudo partito.
J. de Font Reaulx, « Les Cardinaux d’Avignon, leurs armoiries, leurs sceaux », Annuaire de la Société des Amis du Palis des Papes et des Monuments d’Avignon, 1971.
[21] La quartina ci è stata trasmessa dal marchese di Cambis-Velleron, nei suoi Annales d’Avignon, manoscritto della Biblioteca Requien :
Pictor meraris (mirare) manus. Celeberrimus arte
Mennius hoc magni munere duxit opus.
Scilicet Annibalis fuit (sunt) haec pia dona Secani
Vrnis (Huius) sex lunae cornua stemma docent.
Cf. Achard, Notes sur quelques anciens artistes d’Avignon, Carpentras, 1856, p. 5.
[22] Notizia d’opere di disegno, edizione Morelli, Bassano, 1800, pp. 18, 19, 130 ; edizione Frizzoni, Bologna, 1884, p. 50.
[23] M. Dyckmans, Le cérémonial papal …, Roma, 1977-81, II vol., p. 92.
[24] Redig De Campos, Restauro del trittico Stefaneschi di Giotto, in Mitteilungen des Kunthistorischen Institus in Florenz, 17, 1973, p. 325.
[25] M. Dykmans, cit., pp. 83-84.
ottimo lavoro cugino. e aggiungere che sei stato chiarissimo e’ lapalisssiano.
Gentile dottor Belluomo Anello, mi chiamo Roberto Dibiase e sono dottorando di ricerca presso l’Universitò del Salento. Innanzitutto vorrei ringraziarla per aver pubblicato questo saggio che ritengo davvero brillante.
Desidererei domandarle se il saggio “La « livrée » del cardinale Annibaldo Ceccano” appare in qualche rivista o miscellanea o se si tratta di un résumé di un suo lavoro. Mi piacerebbe, inoltre, avere con lei uno scambio di opinioni circa le tematiche affrontate nel suo studio.
Cordialmente,
Roberto Dibiase