Stalag VI A di Hemer: dall’inchiesta tedesca sull’ex guardia del lager alla
memoria di Tommaso Pizzuti, sopravvissuto ceccanese
di Luigi Compagnoni

La notizia, rilanciata dal «Corriere della Sera» a firma di Alessandro Fulloni e relativa
all’indagine aperta dalla Procura di Dortmund su un’ex guardia dello Stalag VI A di Hemer (un’ex guardia ancora vivente: ha 100 anni ma le sue generalità non sono note, riferisce il quotidiano «Bild», che per primo ha dato la notizia), riporta con forza alla nostra attenzione una pagina di storia che riguarda da vicino anche la comunità di Ceccano. Quel campo, definito già allora «campo della morte», vide passare tra il 1939 e il 1945 oltre 200.000 prigionieri di guerra, sottoposti a condizioni disumane, fame, malattie e lavori forzati nelle miniere e nelle fabbriche della Ruhr. Tra loro vi erano decine di migliaia di militari italiani, classificati come Internati Militari Italiani (IMI) e, per questo, privati delle garanzie della Convenzione di Ginevra e ridotti in schiavitù; di questi, duecento morirono dietro i reticolati.

In questo scenario si colloca la vicenda di Tommaso Pizzuti, ceccanese, arruolato nel 24°
Reggimento di Artiglieria della Divisione «Piemonte» e catturato dopo l’8 settembre 1943 nei territori occupati della Grecia. Deportato in Germania, fu internato proprio nello Stalag VI A di Hemer, dove condivise la sorte dei «ragazzi in grigioverde» che avevano detto no al nazifascismo, rifiutando di aderire alla Repubblica Sociale di Salò. Tommaso ricordava spesso la fame feroce, le marce interminabili verso le miniere, le punizioni crudeli inflitte per un semplice ritardo al rientro in campo. Nelle sue parole tornavano episodi estremi, come il bisogno di sfamarsi con ciò che si trovava lungo le strade o nei campi, pur di sopravvivere.
Le ricerche storiche condotte in questi anni hanno permesso di ricostruire l’elenco dei
ceccanesi internati nei lager nazisti: 237 concittadini furono deportati come IMI e 13 di loro non fecero più ritorno, morendo dietro i reticolati del lavoro coatto. Purtroppo, però, molta di quella memoria è andata dispersa: a lungo le vicende dei militari internati sono rimaste ai margini del racconto pubblico della guerra, oscurate da altre pagine più note e da una certa difficoltà, anche personale, a rivivere quel dolore. Le testimonianze come quelle di Tommaso sono arrivate fino a noi solo grazie alla tenacia di pochi familiari, studiosi e associazioni, quando ormai, per ragioni anagrafiche, la voce dei protagonisti stava per spegnersi. Per questo assume un significato particolare il fatto che il 27 gennaio 2025, in occasione della Giornata della Memoria, a Tommaso sia stata conferita dal Prefetto della provincia di Frosinone, dott. Ernesto Liguori, la medaglia d’onore della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a riconoscimento della sua drammatica prigionia nei lager nazisti. È stato un gesto tardivo ma prezioso, che ha restituito almeno in parte dignità istituzionale a una sofferenza rimasta per decenni quasi privata. Pochi mesi dopo, il 30 aprile, Tommaso si è spento alla veneranda età di 107 anni, chiudendo simbolicamente l’ultima pagina vissuta di quella «resistenza senz’armi» combattuta dagli Internati Militari Italiani.
L’indagine tedesca sulle crudeltà perpetrate nello Stalag VI A dimostra che l’omicidio non si prescrive, ma ci richiama anche alle nostre responsabilità di comunità: avremmo tutti avuto il dovere di ascoltare di più questi «ragazzi di ieri», di registrare sistematicamente i loro racconti, di custodire i documenti e le tracce della deportazione. Oggi, mentre la giustizia penale tenta ancora di individuare i responsabili dei crimini commessi nei campi dopo ottant’anni, alla giustizia della storia e della memoria siamo chiamati noi, con gli strumenti della ricerca, dell’educazione nelle scuole, delle iniziative pubbliche e dei luoghi della ricordanza.
Ricordare Tommaso Pizzuti accanto alla notizia dell’inchiesta sul lager di Hemer significa
allora riconoscere, nella vicenda di un singolo, il destino di migliaia di soldati italiani che
pagarono con la schiavitù, la fame e spesso la vita la scelta di non tradire la propria
coscienza. Per Ceccano significa assumere l’impegno a non lasciare che i nomi e i volti dei 237 IMI ceccanesi svaniscano nell’anonimato delle statistiche: la memoria di Tommaso e dei suoi compagni deve continuare a essere una parte viva della nostra identità civica, un monito contro ogni forma di disumanizzazione e di guerra.
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