
E’ così da secoli: l’orario, le 3 e un quarto di notte, è quello dei pastori che lasciavano le abitazioni per recarsi ai pascoli, la presenza è dell’intera comunità dei Supinesi che si ritrovano attorno al loro Cataldo, il vescovo che scende in mezzo a loro. Non è questione di fede, è identificazione. Gli mettono le mani addosso, lo tirano giù perché sia uno di loro, gli pongono sul capo la mitria perché sappia vedere lontano e consigliarli, gli danno il bastone pastorale perché li guidi verso il bene, gli mettono la croce pettorale perché ricordi loro che attraverso Cataldo si arriva a Cristo, gli infilano l’anello episcopale per affermare la fedeltà di Cataldo ai Supinesi e dei Supinesi a lui. C’erano tutti stanotte alle 4 per “cacciarlo”. Viva san Catallo! E domani, 10 maggio, la festa con la processione!
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