Ricordo benissimo quei momenti: ero a scuola, tanto per cambiare, avevo avuto una supplenza come segretario nella scuola media di Supino, sostituivo l’allora sindaco della città, Barletta. Appena arrivò la notizia, accendemmo la radio che era disponibile in ufficio e rimanemmo lì incollati ad ascoltare la parole dei cronisti che volevano trasmetterci la drammaticità del momento: gli uomini della scorta di Moro erano lì a terra, crivellati di proiettili, triturati dalla macchina dell’ideologia, incapace di rispettare il valore più sacro. E Moro dov’era? Quella mattina a Montecitorio avrebbero votato la fiducia ad un governo che metteva insieme forze che si erano contrapposte per decenni. Le Brigate rosse non poteva accettare la riconciliazione, non potevano ammettere un cambiamento così forte: il nuovo le
spaventò e colpirono duramente quanto più in alto possibile, non rispettando nulla: la vita delle persone, gli affetti delle famiglie, i progetti dei figli. Ricordo quei giorni di paura, di emozione, di frustrazione. Il periodo dal 16 marzo al 9 maggio 1978 fu uno dei più brutti della storia d’Italia soprattutto per la difficoltà di decidere il da farsi. Ricordo le parole di Paolo VI che di suo pugno scrisse agli uomini delle Brigate rosse… A noi il compito di impedire che quei tempi non tornino più.
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