di Simone Esposito

Penso di aver compreso questo, nel 2020: che la terra, come scrisse morendo Paolo VI, è davvero “dolorosa, drammatica e magnifica”, e che davanti a questo dolore, a questo dramma e a questa magnificenza siamo piccoli, così piccoli da sentircene schiacciati. Ma che nella nostra miseria cova una scintilla: siamo anche grandi, capaci, e straordinariamente necessari gli uni agli altri. Se questo tempo inaspettato ci ha sbattuto in faccia che la nostra vita non è nelle nostre mani, allo stesso modo ci sta gridando che nelle nostre mani è affidata la vita degli altri: passa dalle nostre scelte, dal nostro senso di responsabilità, dalle rinunce e dalle conquiste, da ciò che colpiamo o accarezziamo, da quello che abbattiamo o costruiamo. A patto che le mani, disinfettate allo sfinimento, non restino in tasca. E allora l’augurio diventa preghiera come quella di Mosè, che dopo aver riconosciuto che davanti a Dio la nostra vita si consuma in un soffio, una cosa gli chiede alla fine, una sola: non di allungare i nostri giorni, ma di dare loro un senso: “Rendi salda per noi l’opera delle nostre mani, l’opera delle nostre mani rendi salda”. Buon anno, che sia in buone mani.
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