di Alessandro D’Avenia
«Ho bisogno di silenzio!». Quante volte lo abbiamo gridato in una giornata caotica… Momenti in cui il silenzio ci manca come l’ossigeno ai polmoni e ci sembra la cura più efficace contro tensione e stress. Eppure, se la sola prospettiva di una spazio muto può farci sentir meglio in quei frangenti, nel silenzio assoluto non resisteremmo per più di pochi secondi. Accade nelle camere anecoiche (cioè «senza eco»): ne esistono diverse nel mondo, utilizzate dalle aziende a scopi sperimentali. Stanze totalmente insonorizzate: più di una sala d’incisione o di una cabina di doppiaggio (se siete entrati in uno di questi luoghi avrete avvertito subito una straniante sensazione di peso nelle orecchie). Qui il 99,99% dei rumori sono eliminati: vari strati di pannelli fonoassorbenti e tecnologie all’avanguardia divorano i suoni e ne annullano la riflessione sulle pareti. Chiusa la porta si diventa l’unico «rumore»: il cuore pompa, le articolazioni scricchiolano, i liquidi gorgogliano. Il vero e proprio «silenzio assordante» dal quale, nella maggioranza dei casi, si scappa in preda a claustrofobia, nausea, panico, allucinazioni uditive. Che silenzio è allora quello che invochiamo? Non il silenzio assoluto, ma relativo: il silenzio curante.
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