di Alessandro D’Avenia
«Signore, dov’eri?». Una giovane donna passeggia da sola in un bosco, gli alberi come giganti la accerchiano, i suoi occhi sono offuscati dalle lacrime appena versate. Guarda verso l’alto dove ritagli di cielo si liberano tra rami che vogliono intrappolare il suo dolore: suo figlio è morto. Nel silenzio del bosco la donna interroga Dio. A questo punto il regista Terrence Malick rende il film The tree of life un esercizio di meraviglia, traducendo in immagini la risposta alla domanda della donna: quella stessa risposta che Dio diede a Giobbe nell’omonimo libro della Bibbia, mostrandogli la creazione. Sotto gli occhi dello spettatore si dispiega per alcuni minuti la bellezza di tutte le cose, dall’infinito delle galassie all’infinitesimale delle connessioni neurali, mentre uno struggente Lacrimosa, tratto dal Requiem per un amico di Preisner, trasforma in musica il pianto della donna schiacciata dal male, dal dolore, dalla morte. Il contrasto tra il doloroso canto femminile e le immagini di una natura potente ed elegante forma un dialogo incandescente. Un momento di pura e rinfrancante contemplazione, in cui la Bellezza e il Dolore sono faccia a faccia. Il dolore ha generato la domanda, che costringe Dio a rispondere con le sue credenziali mostrando che non ha smesso di prendersi cura del creato, tanto che Giobbe esclama «prima ti conoscevo per sentito dire, ora invece ti vedo». Nel film la telecamera ritorna sui passi rinfrancati della bellissima Jessica Chastain: tutto ciò che abbiamo visto è successo dentro di lei, come un viaggio dantesco. Quando rivedo questa scena i nodi del dolore si allentano e ritrovo speranza, perché la bellezza è il baluardo posto contro il nulla e il male: le cose, anche se non lo sanno, esistono e lottano per essere belle.
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