
di Giulia Cerqueti
Dov’eravamo noi quando uomini, donne, bambini venivano sterminati nelle camere a gas? Dov’eravamo quando intere famiglie venivano caricate su vagoni merci e portate a morire nei campi di concentramento? Perché non abbiamo fatto nulla? Perché i Governi d’Europa non hanno agito? Queste domande continuano a interrogare le nostre coscienze, a tormentarci, a non darci pace. Auschwitz non concede risposte. Eppure, ogni anno un milione e mezzo di persone da tutto il mondo visitano questo Luogo. «Cosa cerchiamo veramente fra i blocchi e le baracche, le torrette di guardia, il filo spinato, i crematori e le camere a gas? Cosa ci fa pensare che questo sia un luogo che dobbiamo conoscere?». Così scrive Piotr M.A. Cywiński, direttore del Memoriale e Museo di Auschwitz-Birkenau dal 2006, in Non c’è una fine (Bollati Boringhieri). In questo libro carico di umanità, passione, lucidità e rigore, Cywiński, storico polacco nato nel 1972, cattolico, molto attivo nella promozione del dialogo interculturale, scava nei nostri dilemmi, affronta le problematiche storiche, antropologiche e morali legate alla Shoah, lanciando un duro monito a ognuno di noi: viviamo in un mondo lacerato da guerre, violenze, fame. Tutto accade sotto i nostri occhi. «Facciamo attenzione», scrive l’autore, «ad avere un atteggiamento inquisitorio nel giudicare persone e tempi sempre più distanti. Stando ad Auschwitz giudichiamo molto di più di una specifica generazione, giudichiamo l’umanità».
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